Una repubblichetta delle banane
Una república bananera. Questo poco invidiabile titolo sembra che descriva sempre meglio l’Honduras, Paese tra i più poveri, diseguali, instabili e violenti del mondo. Lungi dall’essere un nomignolo simpatico, il termine coniato nel 1904 dal romanziere O. Henry (al secolo William Sydney Porter) – e purtroppo ispirato da casi reali – è ritornato in voga nel Paese e all’estero dopo le tre violente settimane che sono intercorse tra le elezioni presidenziali del 26 novembre, con due candidati a cantare vittoria prima dei conteggi ufficiali, e la conferma di domenica della massima autorità elettorale del polemico trionfo per l’ 1,7 % dell’attuale presidente Juan Orlando Hernandez. Nel mezzo, 22 giorni di caos, con proteste che hanno anche sfidato il coprifuoco di 8 giorni decretato dal governo, con violenze, vandalismi, saccheggi e il tragico bilancio di 16 morti e 1.600 feriti.
L’espressione bananera, inizialmente applicata a piccole e controllabili nazioni tropicali, ha riscosso un notevole successo ed è stato più volte assegnata a Paesi latinoamericani, dove è ormai un consolidato sinonimo di Staterello-caricatura, dominato da una élite corrotta e senza scrupoli, capitanato da un presidente-prestanome al soldo di interessi coloniali stranieri. La definizione quasi testuale dell’Honduras, purtroppo.
La sera del 26 novembre, sia l’oppositore Salvador Nasralla che il presidente in carica Juan Orlando Hernández si erano proclamati vincitori, senza alcun dato ufficiale, neppure parziale. I primi numeri davano in testa Nasralla ma, dopo il recupero di un crollo del sistema informatico, Hernández era passato in vantaggio. Come nelle elezioni venezuelane di ottobre. Tra altre irregolarità denunciate dalla coalizione Alleanza di opposizione contro la dittatura, 5 mila urne erano state consegnate al Tribunale supremo elettorale (Tse) senza essere introdotte nel sistema digitale. L’Alleanza sconfitta avevano chiamato alla piazza, mentre la missione di osservazione dell”Organizzazione degli Stati americani esigeva la ripetizione delle elezioni.
Tra le irregolarità, l’organismo citava «intrusioni umane deliberate nel sistema informatico, l’eliminazione intenzionale di impronte digitali, l’impossibilità di conoscere il numero di casi in cui il sistema è stato violato, e urne aperte o senza atti di scrutinio». Il candidato perdente, Salvador Nasralla, popolarissimo presentatore tv, è uomo dell’ex presidente Manuel Zelaya, il cui governo finì una mattina del 2009, quando l’esercito lo sequestrò in pigiama a casa sua, con l’avallo del Parlamento che l’accusava di volere iniziare una dittatura. Stava cercando di convocare un referendum consultivo sulla possibilità di rielezione presidenziale proibita dalla Costituzione. Paradossalmente, l’attuale presidente è stato rieletto superando quello scoglio legale mediante una sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale.
Domenica sera comunque, il Tse ha confermato la vittoria di Hernández col 42,95% dei voti, contro il 41,24 % di Nasralla. L’organismo ha confermato di avere effettuato due conteggi addizionali e di avere esaudito «tutte le richieste della Oea», che da parte sua, non è d’accordo, ed ha ribadito la sua richiesta di convocare di nuovo le elezioni. Più prudente la missione dell’Unione europea, che ha invitato diplomaticamente gli scontenti a ricorrere ai tribunali. Zelaya, coordinatore della coalizione sconfitta, ha dichiarato: «Ripudiamo assolutamente la dichiarazione del Tse e non riconosceremo nessun suo atto, giacché si è costituito in organismo criminale a servizio della frode elettorale organizzata dal governo», ed ha poi esortato alla «mobilizzazione immediata e definitiva del popolo honduregno. In base all’articolo 3 della Costituzione della Repubblica (“Nessuno deve obbedienza a un governo usurpatore … Gli atti realizzati da tali autorità sono nulli. Il popolo ha diritto di ricorrere all’insurrezione in difesa dell’ordine costituzionale”), sconfiggiamo il regime vergognoso, ingiusto e fraudolento di Juan Orlando Hernández».
La debolezza repubblicana e istituzionale regna ancora sovrana in Honduras, mentre la corruzione spopola quasi ovunque in America Latina. Tra i casi recenti più eclatanti, segnaliamo la condanna a sei anni di prigione per associazione illecita a fini di corruzione in qualità di autore al vicepresidente dell’Ecuador Jorge Glas per aver accettato mazzette dal gigante edilizio brasiliano Odebrecht, al quale è legata anche la condanna in prima istanza all’ex presidente brasiliano Luiz Inácio “Lula” da Silva e il processo per l’impeachment del capo del governo peruviano Pedro Pablo Kuczynski.