Una Repubblica libera da armi nucleari
Quale festa della Repubblica? «Non abbiamo bisogno di bombe atomiche, ma di giustizia sociale». Ha citato questa frase di Primo Mazzolari degli anni ’50, Anselmo Palini, saggista esperto dei testimoni della coscienza, per introdurre, il 26 maggio, la presentazione dell’appello per “un’Italia libera da armi nucleari” sottoscritto da 40 associazioni e movimenti cattolici e da una vasta rete di realtà territoriali, riviste culturali e gruppi da sempre impegnati per la pace.
Un termine, “pace”, che suona retorico e beffardo davanti alle miriade di conflitti nascosti nell’informazione quotidiana, dal Nagorno-Karabakh alle stragi in Afghanistan e Iraq, alla tregua armata nella Libia dove affiorano tra la sabbia i corpi di bambini morti nel tentativo di emigrare. Oppure la guerra si fa spettacolo, con lo strazio dei corpi e il crollo dei palazzi come nello scontro infinito in Terra Santa, tranne poi scomparire rapidamente con la conseguenza di anestetizzare la coscienza di un’opinione pubblica persuasa che può fare poco o nulla per incidere sul corso della storia, se non cercare di curare le vittime.
La presa di posizione comune di realtà cattoliche di estrazione diversa, da CL alle comunità base per intenderci, è una risposta alle sollecitazioni continue di papa Francesco che non si stanca di denunciare la produzione e vendita di armi e che sulla questione delle bombe nucleari ha esplicitato una condanna assoluta non solo del loro uso, ma anche del semplice possesso.
Contro la volontà delle potenze atomiche e dei loro alleati, come l’Italia, è stato approvato nel 2017 un trattato internazionale che impone l’abolizione delle armi nucleari. Accordo in vigore, dopo oltre 50 ratifiche, dal 22 gennaio 2021, nel pieno di una pandemia che rende lontanamente l’idea di una autodistruzione dell’umanità possibile con l’innesco dell’immenso arsenale nucleare che gli scienziati di ogni parte definiscono senza controllo. Lo hanno detto durante il simposio sul nucleare promosso a Roma dalla Santa sede nel 2017.
Non valgono più i ragionamenti precari sull’equilibrio del terrore, tanto che lo stesso 26 maggio è partita una campagna internazionale di pressione per dar aderire gli Stati che detengono tali armi all’impegno di non sparare il primo colpo. Di fatto, come testimonia Carlo Trezza, già ambasciatore presso l’Onu e la conferenza di Ginevra, «tutti i Paesi nucleari stanno mettendo a punto testate e vettori sempre più sofisticati e più facilmente impiegabili» per un uso tattico “locale”. Lo testimonia, come ha detto il generale Vincenzo Camporini dello Iai, il riamo atomico del 40% deciso dal Regno Unito post Brexit.
L’Italia ospita nelle basi militari statunitensi di Aviano e Ghedi alcune decine di ordigni atomici in via di ammodernamento per essere installati nei caccia bombardieri F35, la grande commessa della Lockheed Martin che ci vede come acquirenti e partner produttivi di secondo livello (cioè la nostra Leonardo ha un accesso limitato alla tecnologia del velivolo).
La richiesta a Governo e Parlamento italiano di ratificare il trattato internazionale per la messa al bando delle rami nucleari non è perciò un’inutile monito sulla pace nel mondo, una mozione del genere non si nega a nessuno come diceva Giorgio La Pira, ma entra nell’interpretazione della adesione all’Alleanza Atlantica ribadita più volte dai nostri governi e in particolare dall’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi.
Comporta la rimozione delle armi nucleari dal nostro territorio ed è un’istanza che vede Brescia in primo piano, perché proprio in questa provincia si trova la base di Ghedi con il suo carico di bombe atomiche che ha suscitato, finora, l’opposizione di minoranze attive regolarmente marginalizzate e marchiate come “ideologiche”. Ma la reazione è stata fatta propria da un largo numero di amministratori locali che hanno sostenuto la campagna “Italia ripensaci” promossa da Ican e, infine, anche dalla chiesa locale, grazie al rapporto tra diversi associazioni e movimenti molto attivi in un territorio che ha viva la memoria dei “ribelli per amore”, i resistenti cattolici che hanno contribuito ad edificare la “Repubblica democratica fondata sul lavoro” e che “ripudia la guerra” che si celebra nella festa civile del 2 giugno.
L’appello nazionale è nato dall’esperienza maturata a Brescia e ha trovato accoglienza dal quotidiano Avvenire che ha rilanciato la proposta iniziale del 25 aprile, fino a partecipare con il suo direttore Marco Tarquinio alla presentazione delle ragioni di una proposta “politica” declinata in tanti modi dai numerosi interventi che rappresentano solo una parte dei soggetti aderenti.
Si tratta di un cammino che avrebbe poco senso se si fermasse alle semplici dichiarazioni. La questione delle bombe nucleari in Italia è stata posta nell’assemblea della Cei dai vescovi campani e toscani, oltre che dal presidente di Pax Christi Giovanni Ricchiuti.
È un cammino di consapevolezza che deve maturare in un dialogo aperto con tutti. Perciò già domenica 30 maggio si svolgerà una sorta di “veglia diffusa” verso un 2 giugno come festa dell’Italia libera dalla guerra e dalle armi nucleari con collegamenti da Padova, Napoli, Brescia, Rimini, Cuneo e altri territori.
Il collegamento partenopeo avverrà dal noto quartiere di Scampia. Una conferma dell’intuizione di Primo Mazzolari, voce profetica e per tanto tempo isolata, che dalla parrocchia di Bozzolo, nel mantovano, si diceva convinto che “i destini del mondo maturano nelle periferie”.
Alla presentazione dell’appello hanno partecipato: Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; Anselmo Palini, per le associazioni cattoliche di Brescia; Lisa Clark di Beati i costruttori e referente campagna internazionale International Campaign to Abolish Nuclear Weapons; Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell’Associazione nazionale Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, Matteo Bracciali delle Acli; Barbara Battilana, presidente comitato nazionale Agesci; Maria Bianco, Coordinamento delle Teologhe Italiane; Ivana Borsotto, presidente della Focsiv; don Luigi Pisani, vicepresidente della Fondazione Mazzolari e parroco di Bozzolo; don Riccardo Battocchio, presidente dell’Associazione Teologica Italiana; Chiara Lambranzi, vice presidente nazionale della Fuci; Antonio Caschetto, referente italiano del Movimento Cattolico mondiale per il clima, e Laila Simoncelli di Apg23.