Repubblica Centrafricana, un Paese conteso
In questi giorni sono giunte gravissime notizie di violenze e uccisioni dalla Repubblica Centrafricana. A questo proposito, è bene rammentare che l’oggetto del contenzioso, da quelle parti, è rappresentato, a parte il fanatismo etnico e religioso, dalla smisurata ricchezza del sottosuolo. Forse non tutti sanno che in questa ex colonia francese, oltre ai giacimenti di petrolio di Birao (capoluogo della più settentrionale tra le 14 prefetture del Paese, quella di Vakaga), vi è una quantità notevole di diamanti nei grandi depositi alluvionali delle regioni occidentali del Paese. Come se non bastasse, sono anche stati identificati depositi di oro, ferro e soprattutto uranio.
Quest’ultima fonte energetica è localizzata a Bakouma, una località a circa 500 chilometri dalla capitale, Bangui. Sebbene l’ex presidente Bozizé fosse un personaggio a dir poco controverso, avendo una spiccata propensione per il nepotismo, già nel 2007 si era ribellato contro l’egemonia delle imprese minerarie francesi. I dissapori sulle concessioni per lo sfruttamento del petrolio da parte della Total e dell’uranio tanto caro alla potentissima società Areva hanno fatto sì che Bozizé, per così dire, fosse “scaricato” dal governo del presidente François Hollande e dunque costretto all’esilio.
D’altronde, fonti ben informate ritengono che la Cina, già dal 2008, fosse disposta a fare carte false, pur di ottenere le concessioni di cui sopra. Nel frattempo – come da me già scritto in più circostanze sul mio blog – all’interno del cartello ribelle Séléka (quello che ha rovesciato Bozizé) sono confluite diverse anime del dissenso, ma anche alcune componenti dell’estremismo islamico, foraggiate dal salafismo di matrice saudita. L’accanimento delle cellule jihadiste contro la società civile (onesti cittadini, comunità cristiane e anche musulmani moderati) ha fatto sì che questo conflitto civile assumesse anche una valenza religiosa.
In effetti, dal punto di vista fenomenologico, si tratta più che altro di una palese strumentalizzazione della religione per fini eversivi. Il recente rapporto dell’International crisis group, intitolato “L’intervento dell’ultima speranza”, denuncia che gli scontri nei villaggi vicini ai siti minerari – come a Gaga (250 chilometri a nord est di Bangui) tra gli abitanti e i militanti Séléka (alleanza ribelle sciolta formalmente, ma sempre attiva) –, dimostrano «la volontà di questi ultimi di fare man bassa sulle risorse naturali del Paese». Per costruire un nuovo Stato, inutile nasconderselo, bisognerebbe mettere in cima all’agenda politica la riforma del sistema minerario. L’International crisis group ritiene necessario, pertanto, l’intervento di una commissione d’inchiesta, sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il fine di investigare sullo sfruttamento delle risorse naturali. In base ai risultati delle indagini, il Consiglio di sicurezza dell’Onu potrebbe applicare sanzioni e azioni mirate a spezzare le esportazioni illegali (anche se le contraddizioni attorno a quel tavolo sono evidenti, non foss’altro perché la Francia è membro permanente del Consiglio).
Intanto, «le autorità centrafricane sembrano completamente impotenti di fronte alla sfide che si vanno cumulando e sono sotto gli occhi della comunità internazionale che sta toccando con mano l’inefficacia dell’impegno finora impiegato». Mentre intorno ai commerci illegali girano enormi somme di denaro difficilmente quantificabili, quella che con difficoltà si può definire “economia del Paese” è basata sull’agricoltura di sussistenza. E la Repubblica Centrafricana si dibatte tra fame e violenza: malgrado le ricchezze della sua terra, ha uno dei tassi più alti di povertà al mondo, percentuali altissime di mortalità infantile e la più alta diffusione del virus HIV della regione.