Repubblica centrafricana. Una crisi dimenticata
Pare strano, ma né la missione delle Nazioni Unite (Minusca) né i soldati governativi riescono a metter fine alla discesa agli inferi.
Oggi la Repubblica centrafricana (Rca) scivola inesorabilmente verso l’abisso per la costernazione dei Paesi della regione e della comunità internazionale che, apparentemente, sembrano aver deciso di trascurare gli assassinii quasi quotidiani che accadono un po’ ovunque.
Violenza e barbarie hanno raggiunto un picco mercoledì 18 ottobre: secondo il generale Bello, dell’Unità per la pace in Repubblica centrafricana (Upc), un gruppo armato composto principalmente da fulani che sono musulmani, «alle cinque del mattino la coalizione Anti-Balaka guidata da soldati delle Forze armate dell’Africa centrale (Faca) e mescolati con mercenari ugandesi, sudanesi e congolesi hanno attaccato Pombolo, in quanto è una città prevalentemente fulani». Il generale Bello sostiene che sono morte più di 140 persone e circa 60 feriti. Ma, secondo un documento interno delle Nazioni Unite, le forze di pace,inviate sulla scena giovedi pomeriggio, «hanno scoperto finora i corpi di 26 civili, 2 miliziani Upc e 56 feriti».
La gravità dell’atto è chiara, ma è ormai divenuto un classico: i soldati delle Nazioni Unite non possono sollevare un dito in caso di esagerazione di una parte nelle denunce degli scontri, e soprattutto non possono intervenire per calmare il confronto armato. «Per ora siamo sempre intervenuti dopo i fatti. Abbiamo solo i mezzi per proteggere i nostri convogli, non per non porre fine agli abusi», afferma un funzionario delle Nazioni Unite.
Il governo centrafricano ha condannato in una nota «questi atti barbarici», il ministro dell’Amministrazione territoriale Jean-Serge Bokassa ha richiamato la Minusca a «mostrare maggiore impegno e rivalutare la sua modalità d’intervento nel quadro della protezione dei civili». Si noti che il Fronte popolare per la rinascita della Repubblica centrafricana (Prgf) e l’Unità per la pace in Repubblica centrafricana (Upc), si sono veementemente opposte per quattro mesi nelle regioni di Bria (a Est) e a Bakala (al centro). «Per capire l’attuale ondata di violenza, dobbiamo sapere che il Séléka (alleanza tra ribelli di religione musulmana) calpesta la popolazione da quattro anni», dice mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou.
Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha visitato il Paese negli scorsi giorni, denuncia «una crisi drammatica ma una crisi dimenticata». Per lui «la Repubblica centrafricana è molto lontana dall’attenzione della comunità internazionale. Il livello di sofferenza del popolo, ma anche le tragedie subite dagli organismi umanitari e dai facilitatori di pace meritano una maggiore solidarietà e attenzione».
Secondo una relazione dell’Onu, almeno 133 civili sono stati uccisi da gruppi armati in due province del Paese tra il novembre 2016 e il febbraio 2017. Il numero di rifugiati e sfollati in fuga dalla violenza ha superato il milione di persone, quasi un quarto della popolazione, tra cui 513 mila rifugiati nei Paesi vicini e circa 600 mila sfollati all’interno del Paese, sempre secondo l’Onu.
La metà degli abitanti della Rca centrali dipende ormai dall’aiuto umanitario. Più di tre quarti dei 4,7 milioni di persone sono in stato di povertà estrema, secondo la Banca mondiale.
L’economia è stato devastata da crisi politiche ed etniche che hanno impedito ad un Paese ricco di materie prime (uranio, diamanti, legname, oro) di crescere. La ripresa economica è più lenta del previsto, secondo la Banca mondiale, che prevede una crescita del 4,7% quest’anno e del 5% nel 2018, ma partendo da livelli bassissimi. Nel novembre del 2016, a Bangui sono stati promessi più di 2,2 miliardi di dollari in tre anni in una conferenza di donatori a Bruxelles.