ReplyAsap, giusto controllo o invadenza?
È un classico dei genitori: provano a chiamare i propri figli fuori casa sul cellulare e questi non rispondono. E ammettiamolo pure, soprattutto oggi che attraverso i cellulari possiamo rintracciare gli altri ovunque essi siano, spesso una mancata risposta può farci venire un po’ di ansia.
Nick Herbert, padre inglese di un figlio di 13 anni ha trovato il suo personale rimedio a questa situazione inventando ReplyAsap (rispondi appena possibile), una app per smartphone che obbliga chi riceve una telefonata a rispondere.
I fan di Harry Potter ricorderanno la “strillettera”, una particolare lettera magica contenuta in una busta rossa ricevuta da alcuni studenti dai propri genitori e che, una volta aperta, prima di autodistruggersi, inizia a strillare il messaggio contenuto con la voce, sostenuta, del mittente. Ma che se non viene aperta dal destinatario, esplode, urlando con una voce ancora più forte. Ecco, ReplyAsap ne sembra la concretizzazione per noi “babbani”.
Diciamolo subito: perché il sistema funzioni, la app deve essere installata sugli smartphone di chi inoltra e chi riceve la chiamata. In secondo luogo, al momento la app funziona soltanto in Inghilterra e per utilizzarla è necessario pagare una quota di abbonamento.
Inoltrando una chiamata attraverso ReplyAsap, sul telefono del dispositivo collegato per il “controllo” la schermata dello smartphone viene presa in ostaggio da ReplyAsap che mostrando a tutto schermo la chiamata, inibisce qualsiasi altra funzionalità dello smartphone. Come se già ciò non bastasse, l’app emette un suono continuo, tipo serena, anche se il cellulare è in modalità silenziosa. Questo fino a quando il destinatario, stremato dall’insistenza, non risponderà alla chiamata.
Stesso procedimento per i messaggi inviati attraverso la app: alla ricezione del messaggio si aprirà una finestra che non potrà essere chiusa fino a quando il messaggio non avrà ricevuto risposta. Con l’aggiunta in questo caso di una notifica verso il chiamante che si attiva nel momento in cui il messaggio è stato letto.
Quello del rapporto famiglia-ragazzi-mezzi di comunicazione, e del controllo esercitato attraverso di essi, è un argomento spinoso e un campo minato, perché si entra nel cuore delle scelte educative, su cui hanno e devono avere voce in capitolo solo e soltanto i genitori.
Secondo le intenzioni del suo creatore, questa app servirà a migliorare la comunicazione con gli adolescenti, che «sono sempre più distanti dal dialogo con i propri genitori, troppo presi ormai da giochi e dai social, stando spesso con il telefono silenziato, soprattutto quando sono insieme agli amici».
Tralasciando il pericolo che possa essere poi utilizzata anche per altri scopi, al di là di alcune problematiche d’uso reali (e se i ragazzi ricevessero una chiamata mentre sono a scuola? – i cellulari, per la cronaca, quando va bene sono tenuti nello zaino, ma accesi con il silenzioso), quelle elencate dal papà inglese sono motivazioni che sembrano però fare “acqua”.
Innanzitutto perché sono impregnate da pregiudizi generazionali. È vero, l’anno scorso, proprio di questi tempi, l’immagine davanti a cui spesso ci siamo trovati era quella di ragazzi con la testa immersa nel proprio smartphone nell’attesa di poter catturare un Pokemon. Ma, se sappiamo guardare oltre, i ragazzi sanno divertirsi anche in tanti altri modi (e magari per questo non rispondono) e accade a volte, dobbiamo ammetterlo, che siano meno “smartphone-dipendenti” degli adulti, i primi che quindi non favoriscono il dialogo.
C’è poi, di contraltare in questa ultima frontiera della tecnologia, l’evidente impressione che con l’aumento della possibilità di contatto diretto istantaneo, siano cresciute anche le ansie di “controllo” da parte dei genitori verso i figli. E ben inteso, questa non è necessariamente una cosa negativa. Non è che prima non si fosse preoccupati o ansiosi, solo il sistema comunicativo limitato ci faceva percepire il mondo più “ristretto“, e quindi più sicuro. Mentre ora, che in un nanosecondo possiamo comunicare con gli zii in Australia, il mondo ci sembra decisamente essersi allargato e abbiamo l’inconscia percezione che si siano (e forse si sono) moltiplicate le possibilità di pericolo e quindi diventi strettamente necessario che gli altri siano sempre rintracciabili.
Tornando in tema, una domanda può sorgere: quanto è sano far regolare ad una app così invadente quel delicato equilibrio di fiducia e libertà che si dovrebbe coltivare nel rapporto genitori-figli? Non c’è una risposta giusta per tutti. Vero è, però, che forse può essere utile mettere in campo uno sforzo educativo in più, invece che cedere alla tentazione di delegare questo passaggio di crescita agli strumenti tecnologici. Il confine, anche qui, è molto sottile. Perché certo gli strumenti possono aiutare a risolvere o a tamponare una situazione, ma mai potranno sostituire quel processo educativo che cresce e si evolve anche attraverso gli sbagli e l’interazione generazionale.
Le statistiche ci dicono che di anno in anno diminuisce l’età media in cui i ragazzi entrano in possesso del loro primo smartphone: questo non è necessariamente un male o uno sbaglio. L’importante è che anche questo passaggio (in fondo uno smartphone è uno strumento pensato per adulti) sia accompagnato: sia nella gestione stessa dello strumento e dell’immersione nell’ambiente digitale, sia per quanto riguarda la creazione del rapporto di fiducia.
Mai come in questi argomenti non esiste una regola magica, e può quindi essere utile il confronto. Se avete qualche domanda, esperienza, considerazione… i commenti sono a vostra disposizione qui sotto.