Renzi stravince le primarie, ma occorre un cambio di stile

Vittoria evidente dell’ex premier nella competizione per la segreteria del partito democratico. Oltre un milione e 800 mila persone ai gazebo. Un milione in meno del 2014. Urge una nuova legge elettorale e un rapporto leale con il governo Gentiloni.
ANSA/GIUSEPPE LAMI

Sfumata un po’ l’euforia della vittoria o l’amarezza della sconfitta, si può ragionare con un po’ di distacco sulle primarie del partito democratico.

Allora, il risultato ufficiale: Renzi 70,01%; Orlando 19,50%; Emiliano 10,49%; votanti 1.848.658 (risultato contestato, sia detto per dovere di cronaca, dallo staff di Orlando, per il quale le percentuali sarebbero 68%, 22,2% e 9,8%, mentre l’affluenza si attesterebbe tra 1,6 e 1,8 milioni).

Per Matteo Renzi un successo rotondo, che i timori della vigilia riguardo un possibile crollo della partecipazione rendono ancora più gioioso. Per lui si tratta di un ricominciamento, di una vera e propria seconda chance: eccolo infatti rilegittimato a calcare da protagonista la scena politica nazionale.

Dall’infausto, per lui, 4 dicembre 2016 a oggi, sono trascorsi quasi cinque mesi che possono valere una vita: non vi è stato nessuno tra commentatori, amici o avversari che abbia, infatti, omesso di evidenziare quanto certi tratti della strabordante personalità dell’ex Presidente del Consiglio abbiano inciso negativamente sulle sue sorti passate. Da qui, le aspettative che si sono formate circa un percorso di maturazione politica e, perché no, caratteriale, che lo stesso potrebbe aver compiuto durante questi mesi.

Il basso profilo tenuto durante la campagna elettorale e i toni del discorso della vittoria sono buone avvisaglie: se solo darà corpo ad alcune cose fondanti dette in quell’occasione (il richiamo all’unione non solo del partito ma dell’intero Paese, l’umiltà come stile, il coinvolgimento dal basso di persone e associazioni, la solidarietà come orizzonte valoriale…), il Paese avrà trovato davvero un rappresentante credibile di un nuovo corso della politica.

L’elemento personale quindi è di importanza decisiva nella definizione della scena politica; non meno significativo però è il profilo del partito che Renzi prende in mano.

Il pd che emerge da queste primarie è un pd che ha cambiato pelle. In parte è composto in misura importante dal corpaccione magmatico e mutante delle filiere di potere nel territorio.  Quelle che un tempo temevano Renzi. Ma un’altra componente significativa è quella sociologicamente individuata  dal  voto referendario, quando, cioè, i “si” si sono dimostrati espressione soprattutto di una popolazione economicamente garantita e in età piuttosto elevata.

È vero che non ci sono ancora molti dati disaggregati sul voto (e speriamo che arrivino), ma la contrazione generale della partecipazione (che va comunque tenuta in conto: un milione di partecipanti in meno rispetto alla tornata del 2014 vanno pur sempre considerati) e soprattutto il vero e proprio crollo nelle regioni rosse, dove si è raggiunta anche una flessione del 50 per cento, fanno deporre per una ipotesi del genere.

I risultati degli altri due candidati aiutano ad approfondire la lettura: l’insipido 20% di Orlando ci conferma che l’apparato ha sostenuto in gran parte Renzi e che l’elettorato diffuso non si accontenta di un uomo di sinistra dal curriculum doc, garbato e presentabile ma che non offre garanzie di vera discontinuità.

Altro impatto ha avuto invece Michele Emiliano, che in alcune regioni del meridione ha addirittura sfondato, dimostrando che il cambiamento rimane la domanda più diffusa e penetrante, specie se coniugata con parole d’ordine al contempo classiche e nuove come ha tentato di fare il Governatore pugliese: un terreno sul quale Matteo Renzi ha perso la primogenitura ma che non può abbandonare.

Tutto ciò si ripercuote sul quadro politico nazionale con la forza di determinare le coordinate delle prossime elezioni politiche e quindi della prossima legislatura.

Innanzitutto è da affrontare la legge elettorale. Ormai non ci sono più ragioni per la stasi e dopo il richiamo del Presidente Mattarella nessun partito potrà tirarsi indietro dall’affrontare la questione.

Altra cosa però è la volontà effettiva di cercare la via più praticabile e, invece, raggiungere un accordo; su questo tutti i partiti sono chiamati a smentire le cassandre che prevedono il fallimento dell’operazione, ma il pd è investito di una responsabilità maggiore, essendo in parlamento il partito di maggioranza relativa. Spetta quindi ad esso l’onere di una proposta finalmente reale.

Poi c’è la durata del governo, anch’essa, si, condizionata dalla legge elettorale: se cade il governo, si va al voto; ma perché il governo non sia un simulacro, la leale collaborazione di Matteo Renzi e del pd è indispensabile.

Passa attraverso questo congresso e il nuovo corso del pd la tenuta del Paese.

 

 

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