Religiose a Loppiano: il positivo che viviamo
“Vivo a Casa Emmaus da 7 mesi: è una scuola di vita. Ogni giorno è pieno di opportunità per amare ed essere amata. L’esperienza dell’internazionalità ci fa essere donne-mondo; proveniamo, infatti, da vari continenti e diversi Paesi, nelle nostre radici vi sono le tracce di etnie, culture e lingue… diverse eppure l’unità è possibile”.
“Sono qui a Loppiano dal 2011. Ho conosciuto questa realtà nel 2005, durante gli esercizi spirituali nei quali ho vissuto una comunione vera con 14 religiose di 13 nazionalità. Sono rimasta profondamente toccata dal fatto che riuscivamo a vivere l’unità nonostante la diversità. Nel cuore, poi, mi è rimasta impressa anche le realtà di Loppiano: ogni persona della cittadella costruiva la comunione, superando le barriere tra nazioni, lingue, culture, popoli per essere un mondo unito, fondato sull’amore reciproco.
Ora, vivendo a Casa Emmaus capisco che la diversità non è un limite, ma una ricchezza. Ogni popolo ha il suo modo di vivere, di capire le cose, di relazionarsi. Però tutto questo da ostacolo può trasformarsi, nello svuotamento e nell’annullamento dell’io, in occasioni per creare spazi di accoglienza dell’altro, per superare pregiudizi e categorie mentali.
Un esempio: prima non accettavo che l’altra sbagliasse, spesso la correggevo e, pur avendo ragione, provocando in lei reazioni alterate o arrabbiature. Qui a Loppiano ho capito che l’altra è diversa da me e ciò che io ritengo uno sbaglio, per l’altra forse non lo è. Ora, nella logica della diversità, esco dai miei schemi mentali. All’inizio è stato forte e faticoso, ma pian piano sto cambiando il mio sguardo”.
“Attualmente siamo 9 religiose di 9 congregazioni, 8 nazioni e 4 continenti e tutte siamo tese a vivere nella comunione. Fin quando si va d’accordo tutto va bene, ma non è così facile! C’è tanta diversità, il modo di fare e di pensare è diverso. Vivere per custodire fra noi la presenza di Gesù a volta mi stanca, perché devo cedere e perdere per prima, però quando ci riesco provo tanta pace.
Una volta ho visto che, in vista di un lavoro, sarebbe stato bene organizzarci fra noi. Mi sono allora messa a scrivere alcune proposte e ho distribuito vari compiti: mi sembrava una cosa normale, anche perché il lavoro diventava meno impegnativo e più agevole. Subito dopo ho costatato che le altre non erano contente, perché nessuna era stata consultata e coinvolta. In un primo momento ci sono rimasta male, pensavo di aver dato una mano, ma non era così. Riflettendo, ho poi capito che è meglio andare d’accordo in poche cose che cercare la perfezione provocando disunità. Per me non è ancora facile”.
“L’esperienza dello studio nell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano mi sta aiutando. Sto seguendo teologia, però la mia prima formazione è psicologica. Quando ho cominciato la tesi mi sentivo più attaccata alla psicologia che alla teologia. Poi ho compreso che dovevo superare questo mio legame, per aprirmi ad altre realtà, come contempla il programma di Sophia che favorisce l’unità dei saperi, mediante il metodo della interdisciplinarietà e transdisciplinarietà. Adesso, avendo conosciuto altre materie, mi sento più arricchita”
“Quando ci sono sincera unità e amore l’altra diventa un’opportunità, un dono della Provvidenza per poter gustare la bellezza della diversità. È ciò che contempliamo nella relazione trinitaria che è tutta amore e comunione. Lo vedo, per esempio, quando nella ricreazione ognuna si esprime nella propria cultura con danze, scherzi, abbigliamenti ecc. Anche in cucina: prima sentivamo una certa paura a preparare i pasti, avevamo il timore di non accontentare le altre; però da quando ci siamo proposte di cucinare secondo le nostre tradizioni, la nostra casa gode delle specialità di tutto il mondo.
Le difficoltà non mancano, perché amare e rimanere nell’unità non è una passeggiata. A volte, quando non mi sento capita, o peggio fraintesa, pur avendo fatto dei gesti d’amore, non mi è facile saper perdere e ricominciare senza aspettarmi il risultato. Ogni tanto non ci capiamo, un piccolo richiamo può far scatenare reazioni o arrabbiature. Chi mi aiuta a superare queste situazioni è Gesù crocifisso e abbandonato, chiave di lettura di ogni situazione.
L’esperienza dell’interculturalità ci chiede di cambiare tante cose a cui eravamo abituate nelle nostre congregazioni e di integrarci in questa realtà nella quale siamo tutte uguali: c’è chi viene da un impegno come superiora generale o consigliera, alcune sono segnate da antiche ferite, altre non hanno mai vissuto con religiose di diverse congregazioni e culture.
All’inizio viviamo una lotta con noi stesse e può subentrare una crisi. Io, per esempio, non sopportavo chi si lamentava sempre, oppure chi rimaneva attaccata al proprio modo di fare. Poi ho capito che ero io quella che dovevo accogliere e amare le altre per prima, così come sono, con i miei limiti che anch’io spesso non riesco a superare”.
“A volte è davvero complicato vivere con le altre a causa della diversità nella cultura, nella lingua, nella provenienza sociale. Quando, però, faccio del mio meglio per amare la persona con la quale non riesco a comunicare, la grazia di Dio opera e così sono in grado di raggiungere l’altra: sperimento una gioia profonda, un flusso vitale che ci invade quando viviamo l’amore reciproco. Ogni giorno è una nuova possibilità per ricominciare ad amare di più, dimenticando me stessa. Due cose mi aiutano: la coscienza di vedere nelle persone che incontro l’immagine di Cristo e rinnovare con tutte le altre l’impegno ad amarci reciprocamente come Gesù ci ha amato”.
“Veramente la vita qui è come una ginnastica, si vive a dispetto delle proprie debolezze, dei limiti, dei fallimenti. Ogni giorno il positivo che viviamo, le lotte che sperimentiamo, le preoccupazioni che condividiamo, l’accoglienza che tocchiamo con mano ci rendono più unite nello spirito di Gesù che è veramente unito con il Padre e lo Spirito Santo e, nell’amore vero, sperimentiamo già qui, su questa terra, la possibilità di vivere la fraternità universale da annunciare a tutti”.