Religioni, fronte comune contro Covid-19
La scorsa settimana nell’indimenticabile serata di San Pietro deserta sotto una pioggia battente e in un silenzio assordante che ha raccolto l’umanità in preghiera in questo momento di sofferenza, papa Francesco ha affermato con forza che siamo tutti sulla stessa barca. Il Covid-19, infatti, non sta facendo nessun tipo di discriminazione né etnica, né sociale e nemmeno religiosa o culturale. Forse mai, come in questi giorni, ci stiamo tutti rendendo conto che apparteniamo alla stessa famiglia mondiale. Per questo, si susseguono voci, espressione di diverse culture e religioni, che si indirizzano a seguaci delle rispettive fedi, ma che aprono a una dimensione universale e richiamano ai valori etico-religiosi universali. I grandi leader si rivolgono a tutti gli uomini e donne di buona volontà, ai leader politici, a quelli che gestiscono economia e finanza come pure quelli che si occupano di media. L’appello comune è un richiamo ai valori di solidarietà, apertura, onestà e chiarezza per affrontare il problema insieme a tutte le latitudini.
Rivolgendosi ai “cari fratelli e sorelle” il Dalai Lama afferma che «per quanto difficile possa essere la situazione, dovremmo impiegare la scienza e l’ingegno umano con determinazione e coraggio per superare i problemi che ci troviamo ad affrontare». È naturale, riconosce, che «di fronte alle minacce alla nostra salute e al nostro benessere, si provino ansia e paura». Ma aggiunge, con la caratteristica sapienza buddhista, il conforto di un saggio consiglio, utile per valutare i problemi che abbiamo di fronte: «Se c’è qualcosa da fare, fatelo, senza bisogno di preoccuparvi; se non c’è niente da fare, preoccuparsi ulteriormente non sarà d’aiuto». In altre parole richiama tutti a vivere nel presente e a viverlo bene. Si rivolge, poi, ai leader politici e amministratori chiedendo un’attenzione particolare per coloro che sono più in difficoltà a causa non solo del virus, ma delle misure prese per contenerlo. Soprattutto, mette a fuoco i valori della misericordia e della gratitudine. «Mi rivolgo a tutti gli interessati affinché facciano tutto il possibile per prendersi cura dei membri vulnerabili delle nostre comunità. Offro una speciale gratitudine al personale medico […] che lavora in prima linea per salvare vite umane a grande rischio personale. Il loro servizio è davvero compassione in azione». Il leader buddhista si unisce, poi, in una preghiera universale a tutti coloro che soffrono. «Con sentiti sentimenti di preoccupazione per i miei fratelli e le mie sorelle di tutto il mondo che stanno attraversando questi tempi difficili, prego per una rapida fine di questa pandemia, affinché la vostra pace e la vostra felicità possano essere presto ristabilite». È giusto riconoscere quanto i templi buddhisti siano rifugio di pace e serenità, materiale e spirituale, in molte parti del mondo e di come molti, soprattutto, monaci e monache stiano testimoniando la via della compassione secondo la tradizione del Buddha.
Anche dal mondo musulmano si levano voci rivolte a seguaci della propria religione ma aperte al mondo intero. Particolarmente significativa la riflessione del grande imam Ahmad al-Tayyeb di al-Azhar, al Cairo, che, con papa Francesco, nel febbraio del 2019 ad Abu Dhabi aveva firmato la storica Dichiarazione sulla fratellanza umana. «Esprimo la solidarietà di Al-Azhar a tutti i Paesi e tutti i popoli del mondo che stanno combattendo la diffusione di questa epidemia». Sostenere coloro che in queste ore stanno dando soccorso alle vittime e aderire ciascuno personalmente e con responsabilità alle regole del contenimento dell’epidemia sono «un dovere religioso e umanitario, ma anche un’applicazione pratica della fratellanza umana», ha dichiarato il leader musulmano sunnita. «Il mondo oggi vive in un grande terrore e in un’angoscia intensa, a seguito della rapida diffusione dell’epidemia di coronavirus, che ha causato il contagio e la morte di centinaia di migliaia di persone e ha travolto il corso della vita normale in tutto il mondo. In queste dure condizioni, Stati, popoli, individui, istituzioni, ciascuno di noi, tutti abbiamo la responsabilità di fare la nostra parte nella lotta contro questa epidemia, contenendola e proteggendo l’umanità dai suoi pericoli». Al Tayyeb ha concluso il suo accorato appello rivolgendosi ai malati e ai loro familiari. «Ai nostri fratelli che sono stati colpiti dal coronavirus in Egitto e in tutto il mondo: siamo con voi con i nostri cuori e le nostre suppliche. Preghiamo Dio – Gloria sia a Lui – perché dia a tutti una pronta guarigione e accolga tutti coloro che sono morti a causa di questa malattia, dando alle loro famiglie e ai loro cari pazienza e conforto».
Un’altra voce autorevole si è levata dal cuore del mondo musulmano, quella del principe Hassan Bin Talal di Giordania. Consumato leader politico, accademico raffinato e anche uomo di fede – è stato un testimone di grande rilievo nel dialogo interreligioso anche come uno dei moderatori di Religioni per la Pace – il principe riconosce che in questo momento è cruciale per il mondo «massimizzare lo spirito collettivo, inteso come il “weness” (collettivismo), la pluralità e confermare il concetto collettivo che si identifica con il pronome “noi”, quindi posizionando il bene comune sopra l’individualità dell’io». Ricorda che la pandemia è l’occasione per renderci coscienti che «la nostra solidarietà con gli altri, come la compassione per gli ammalati e gli afflitti, deve inoltre nascere dalla nostra indole umana e dal nostro senso civico, così com’è espresso nello hadith del Profeta Maometto: “I credenti, nel loro amore, misericordia e benevolenza gli uni con gli altri sono come un corpo: se qualunque parte è malata, il corpo intero condivide l’insonnia e la febbre”» (narrato da al-Bukhari e da Muslim). Il principe si rivolge all’ «intera umanità che deve unirsi, per coordinare i suoi sforzi e condividere le informazioni e il sapere per uscire da questa catastrofe che colpisce tutti noi senza distinzione alcuna tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani, né tra etnie, razze e credenze». Coraggiosa anche l’interpretazione sullo zakat, l’elemosina per i poveri, uno dei 5 pilastri dell’Islam, che il principe Hassan vede oggi in una dimensione globale senza alcun tipo di discriminazione. «La zakat si intende con il contributo e l’offerta di un servizio umanitario destinato a tutti […] poichè la religione è al servizio dell’intera umanità».
Un ultimo atto molto significativo è stato quello di Religions for Peace che il 1 aprile alle ore 15 italiane ha convocato una riflessione e preghiera fra leaders religiosi di tutto il mondo. I collegati via zoom e su Face book erano varie migliaia e hanno seguito leaders delle diverse fedi in momenti di riflessione su testi delle rispettive scritture. Una vera esperienza di fratellanza universale in atto.