Regno a porte aperte al mondo

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Fontem (Camerun), 21 e 22 dicembre 2007. Il palazzo reale di Azi brulica di vita e preparativi. Sono presenti infatti, oltre all’intera famiglia reale, ben venti sovrani confinanti, con i loro dignitari, autorità civili e religiose. Sono arrivati invitati dagli Stati Uniti, dall’Europa, dal lontano Giappone. E da Roma, gli attesi rappresentanti di Chiara Lubich: Walburga Stocker e Martin Nkafu. La grande spianata antistante la dimora si affolla di un mare di persone, accorse per festeggiare il re e la sua corte nell’importante traguardo raggiunto: 25 anni di regno Nell’aprile 1982, Lucas Nijfua aveva 21 anni quando, ancora studente, raccolse l’eredità lasciatagli da suo padre, il fon Fontem Defang. I bangwa, un piccolo popolo nel cuore della zona equatoriale, che aveva lottato contro l’invasione coloniale e rischiato l’estinzione a causa della mortalità infantile, piangevano la perdita di quel grande sovrano. La loro storia si è intrecciata, non senza un disegno della provvidenza, con quella dei Focolari, arrivati a Fontem negli anni Sessanta. Attendeva il giovane re un compito non facile. Come sua sorella Christine Asong Fontem, l’attuale mafua (regina), lui era stato designato segretamente, secondo le tradizioni, dallo stesso fon Defang nel suo testamento. Tra i figli e le figlie egli aveva cercato di individuare quelle doti morali che li avrebbero resi atti a ricoprire, alla sua morte, questo incarico di prestigio, riconosciuto anche dallo Stato. Il Camerun infatti, indipendente dal 1960, nel 1972 è diventato Repub- blica presidenziale con due Camere, che, in analogia al sistema inglese, sono una elettiva e l’altra ereditaria. I fon, dunque, esercitano un effettivo potere nei confronti del loro popolo. I 18 milioni di camerunesi, abitanti un territorio vasto due volte e mezzo l’Italia, sono a loro volta costituiti da una ventina di villaggi principali, ciascuno con il proprio capo, il chief. Nell’intervista concessa in occasione di un suo viaggio in Italia, la mafua Christine Asong ci aveva precisato che questa scelta si era verificata tra tutti i figli del re, 67 tra fratelli e sorelle. E aveva ricordato che nella loro società la poligamia è legata anche all’assetto economico, come nelle antiche famiglie patriarcali. Quando la cerimonia del 25° ha inizio, è al suono del tam tam che il re entra a cavallo nella grande piazza, accompagnato da altri sovrani, per prendere il suo posto sul trono. Seguono l’inno nazionale e una preghiera diretta da un sacerdote cattolico. Poi, incalzanti e coinvolgenti, le coloratissime danze, tramandate da generazioni. Tutto il popolo si raccoglie attorno al suo re per guardare insieme a quanto è stato fatto e a quanto resta ancora da fare: una nuova tappa importante nella vita della comunità. Qui i gesti, codificati da antichi rituali, sono veicoli di una comunicazione profonda e vitale. Prima ancora che il fon prenda la parola, sono stati già pronunciati diversi discorsi di omaggio alla famiglia reale. Di particolare significato è il messaggio che Chiara Lubich ha indirizzato al fon Nijfua e al suo popolo, davvero il popolo che più ho amato. Letto da Walburga Stocker, viene accolto con grande partecipazione e commozione della folla. Rammenta con affetto e gratitudine il grande fon Defang che è stato uno strumento di Dio per il suo popolo ed ha risposto fino alla fine alla sua chiamata all’unità, alla fraternità universale. La fondatrice augura al fon di continuare con coraggio e fedeltà a guidare con saggezza il tuo popolo verso Dio. Non manca il riferimento al fon Joseph di Fonjumetaw che ha accolto Chiara nel proprio regno nel 2000. Chiara ricorda inoltre il progetto della nuova evangelizzazione avviato in stretta collaborazione con l’intero popolo. E conclude: Nel 1966, proprio lì ad Azi ho sentito che Dio era presente e ci avvolgeva tutti. Ancora lì, ad Azi, nel 2000, quando avete accolto in modo nuovo l’invito ad amare, abbiamo stretto un patto di amore scambievole. Così anche oggi: che Dio ci avvolga tutti e il patto sia sempre più vero e forte. Io lo rinnovo con voi. Vostra mafua ndem (cioè regina inviata da Dio, l’alto titolo di cui era stata insignita nel corso di una toccante cerimonia proprio in quella stessa piazza). Per dare forza ed onore al messaggio, vengono sparati quattro colpi di fucile, in modo che possano essere uditi in lontananza. Sono parole che riportano tutti nel cuore di un’esperienza singolare, di cui ancora non si riesce a valutare la portata: l’incontro di cristiani, spogliati delle loro prerogative occidentali, con un popolo di patriarcale civiltà. Un incontro in cui lo scambio dei doni spirituali e materiali, avvenuto in un clima di massimo rispetto, ha consentito al popolo bangwa, liberato dalla necessità, di svilupparsi e di maturare secondo la propria identità. Il fon e la mafua attuali hanno compiuto in questo quarto di secolo con il loro popolo un significativo balzo in avanti, e guardano con molto ottimismo al suo avvenire in Africa. Ricordo ancora le sagge parole della regina, con cui esprimeva le aspettative e le speranze dei suoi: Il mio popolo spera che la presente situazione si evolva, che l’amore reciproco diventi sempre più significativo, e che i rapporti tra tutti siano sempre più impregnati dello spirito dell’unità. È stato questo che li ha elevati spiritualmente e ha riempito la loro vita. Molti pensano che per poter dare qualcosa a qualcuno bisognerebbe prima avere abbastanza per sé.Ma non è così. Se tu dai a qualcuno solo qualcosa che ti è superfluo, non gli hai dato niente. Cambia tutto, quando lo spirito del dare è uno spirito di comunione. E questo è ciò che noi, a Fontem, speriamo: vogliamo fare in modo che diventi normale vivere così: come l’aria che respiriamo. Parole che si aggiungono a quelle, dal tono profetico, che il fon Lucas Nijfua ha indirizzato a Chiara: Vedo già Fontem benedetta e scelta da Dio per guidare l’Africa e il mondo in questa nuova marcia d’amore e di unità. TRA UN CARISMA E UNA CULTURA Martin Nkafu, focolarino bangwa, professore presso le pontificie università Lateranense e Gregoriana, spiega come si possa parlare del suo come di un popolo focolarino. È un processo lento, impercettibile, che ha avuto inizio quando i missionari Mill Hills e in seguito i primi focolarini medici sono stati invitati a prestare servizio e vivere con il popolo bangwa. Oggi, dopo questi lunghi anni, possiamo affermare senza errare che l’incontro con il cristianesimo è stata la vera, grande fortuna di questo popolo. La missione cattolica presso i bangwa è stata quindi fondata dai missionari Mill Hills con alcune scuole elementari. La costruzione della prima strada che univa la regione alla città più vicina risale a questo periodo. Il dispensario è stato invece la prima opera dei Focolari, seguito da tutto il resto. Il vescovo Peeters, quello a cui si era rivolto il fon Defang, risiedeva a Buea, una località a 400 chilometri da Fontem e non facilmente raggiungibile. È stato lui, a Roma durante il Concilio, ad invitare i focolarini in Africa. Se, come ha detto Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio, inculturazione significa l’intima trasformazione di autentici valori culturali per mezzo della loro integrazione nel cristianesimo e l’inserimento del cristianesimo nelle varie culture umane , allora, possiamo dire che è proprio ciò che sta avvenendo a Fontem. I bangwa si sentono cristiani, focolarini, senza cessare di essere bangwa e africani. Quando nella spianata di Azi Chiara Lubich, ha proposto al popolo un patto di amore scambievole, è stato il popolo nel suo insieme – questa la novità – ad assumere tale impegno. Da allora, è iniziato un cammino non privo di difficoltà, ma entusiasmante e ricco di sorprese. Inoltre, questa esperienza vitale di amore cristiano apre i cuori alle altre etnie, ai popoli vicini. TRA PASSATO E PRESENTE Walburga Stocker, focolarina svizzera che ha vissuto a Fontem i primi anni dell’esperienza africana dei Focolari, riporta le sue impressioni di viaggio. Ho provato una grande emozione nel ritornare a Fontem. Sono stata accolta con grandissima gioia e calore, tanto che mi sono sentita a casa. C’è una vitalità in questo popolo, e uno sviluppo, incredibili, su tutti i fronti. Il seme gettato nel 1966 è germogliato e ha dato frutti meravigliosi. Viene solo da inchinarsi davanti all’opera di Dio. La nuova evangelizzazione è una realtà viva, penetra sempre di più, voluta e incoraggiata da vari fon dei diversi regni tradizionali. Abbiamo bisogno della spiritualità dell’unità , hanno commentato in tanti, consapevoli che il miracolo nella foresta, è dovuto al carisma dell’unità testimoniato e vissuto.

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