Regimi forti o relazioni forti?
Perché non mettersi assieme, europei e nordafricani, per cercare di dare un futuro migliore all’Africa settentrionale (e, in fin dei conti, anche all’Europa)?
Le domande che le rivolte a domino dei Paesi arabi suscitano sono legittime: tali Paesi sono capaci di promuovere sviluppi democratici? Che ruolo sta giocando l’estremismo islamista? Il tribalismo non rischia di vanificare ogni anelito di libertà? Quanti immigrati arriveranno da noi?
È giusto cercare risposte a questi interrogativi. Ma ancor prima dovremmo rispondere a un’altra domanda: che tipo di relazioni vogliamo stabilire tra la riva settentrionale e quella meridionale del Mare Nostrum, che è anche loro? Chi ha viaggiato e stretto relazioni nel mondo arabo sa bene che nei rapporti bisogna tener presente che per loro più che l’oggetto della relazione è la relazione stessa che conta. Il fatto stesso di dialogare e discutere. Quando, ad esempio, si fanno affari, non è detto che certe condizioni iniziali dettate dalla controparte siano definitive. Al contrario, se la relazione diventa amicizia, quel che è impossibile diventa possibile.
Il mondo cristiano ha introdotto nel pensare e nel credere una novità radicale: l’altro non è solo oggetto dell’amore di Dio, ma addirittura “alberga” Dio stesso: «Se non ami il fratello che vedi, come puoi amare Dio che non vedi?», si chiede Giovanni. Ma l’Occidente, costruitosi soprattutto sulla cultura giudaico-cristiana, ha di fatto dimenticato il comandamento dell’amore del prossimo, ridotto a una serie di diritti umani (più o meno umani!). Invece le culture arabe – che pure non sono solo musulmane e che non ricoprono la totalità dell’Africa settentrionale – hanno conosciuto in modo limitato o perlomeno diverso questa “divinizzazione del prossimo”; ma nei fatti hanno conservato un forte senso dell’accoglienza e una reale centralità delle relazioni nella vita sociale, pur accanto a indubbi restringimenti delle libertà. Perché, allora, non puntare sulla relazione? Perché non mettersi assieme, europei e nordafricani, per cercare di dare un futuro migliore all’Africa settentrionale (e, in fin dei conti, anche all’Europa)?
Mi spiego: Pasquale Ferrara ha proposto su queste colonne una conferenza pan-mediterranea, atta ad accompagnare il complesso momento che vive il mondo arabo. Un’occasione per tracciare prospettive di largo respiro, auspicate in questi giorni da altri osservatori come Biancheri, Emmott e Panebianco, pur con accenti diversi. Così si potrebbe favorire un’opera di libertà, giustizia e ridistribuzione della ricchezza: se i profitti di petrolio, gas e turismo per lunghi decenni sono stati in massima parte dirottati nelle casse dei governanti, ora potrebbero essere utilizzati a favore delle popolazioni. Col vantaggio che l’Europa potrebbe realizzare una sorta di “nuovo partenariato strategico”, utilizzando parte di quanto già spende per l’energia, mettendo inoltre a disposizione dei Paesi nordafricani quelle conoscenze e quelle tecnologie di cui è ricca. Così, tra l’altro, si potrebbero limitare le fughe di massa dal Sud al Nord del Mediterraneo.
Ma la condizione è chiara: bisogna trattarsi alla pari e rispettarsi, in qualche modo arrivare ad «amare la patria altrui come la propria» (Chiara Lubich). Il vantaggio sarebbe loro e nostro. Abbiamo tra le mani un’occasione unica che non andrebbe perduta.