Reggio Calabria sciolto per mafia

Triste risultato per il capoluogo calabrese. Dopo la gestione allegra delle finanze pubbliche, con un buco di 170 milioni, sono sotto accusa i rapporti con la 'ndrangheta
demetrio arena sindaco di Reggio Calabria

È la prima volta che un comune capoluogo è sciolto per contiguità con la mafia. Forse è per questo che la notizia ha fatto, non solo il giro d’Italia, ma quello del mondo. E forse è anche per questo che il giorno successivo allo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria, il Palazzo sede della massima assise cittadina, intitolato a San Giorgio, benché collocato in centro, appariva deserto: simbolo tangibile dell’azzeramento di un’intera classe dirigente, ma anche dello stato d’animo attonito e silenzioso dei cittadini, quasi in contrapposizione all’enfasi data dai mezzi di comunicazione.

Per  la verità era da troppi mesi che in riva allo Stretto si viveva col fiato sospeso. Nei primi giorni di quest’anno infatti si era insediata la commissione d’accesso, nominata appunto dal ministero dell’Interno, che avrebbe dovuto scandagliare l’attività e la documentazione del Comune, non solo di quest’ ultima e breve amministrazione, ma anche di quella degli anni precedenti. Ed è anche vero che dal dicembre del 2010 in città si viveva in un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà.

Il sogno era quello creato dall’amministrazione di centrodestra, al governo della città da circa dieci anni, e  battezzato col nome emblematico di “modello Reggio”, quasi a rappresentare appunto un’icona cui guardare per prenderne esempio; dall’altra l’amara realtà che da due anni a questa parte ha attanagliato la città: un periodo triste e confuso apertosi con il suicidio di una donna che, da dirigente del settore finanze del Comune, ha portato con sé tutti i segreti di uno sperpero di denaro pubblico senza precedenti. Non solo perché si era auto-liquidata somme da capogiro, ma anche perché ha avallato – insieme al sindaco oggi governatore della Calabria – una gestione della cosa pubblica da molti definita “allegra”.

In questi anni la città ha infatti vissuto al di sopra delle proprie possibilità, le risorse di cui disponeva sono state investite in immagine, tra serate danzanti, notti bianche e passeggiate dei vip lungo il Corso e il lungomare cittadino, in eventi ludici e sportivi da sponsorizzare; e infine nella costituzione delle cosiddette società miste, a capitale pubblico-privato, che avrebbero dovuto occuparsi della gestione dei servizi essenziali per i cittadini: raccolta dei rifiuti, manutenzione delle strade e del verde pubblico, riscossione dei tributi. Ebbene il socio privato nella gestione di questi servizi, il cui 51 per cento è del Comune, era proprio la ‘ndrangheta.

Scrivono due pm titolari delle inchieste che hanno portato allo scioglimento di queste società: «La ‘ndrangheta dimostra di poter contare su uomini posti in settori strategici dell'amministrazione e per questo diviene punto di riferimento anche per il soddisfacimento di istanze legittime, se non sacrosante, dei singoli individui che però non possono essere garantite se non col ricorso al "piacere" richiesto al "compare" o all'amico degli “amici”. Una degenerazione pericolosa, si tratta infatti di un formidabile grimaldello in grado di piegare la società civile al rapporto con la 'ndrangheta».

Forse sono questi i commenti che rendono il quadro della situazione vissuta in questi anni: chi si è ribellato a questo modo di pensare, sia se fossero i politici di opposizione o che fossero intellettuali o giornalisti, era “nemico” della città. Ed anche in questi giorni nei quali l’attesa dello scioglimento diveniva sempre più pressante, non sono mancati manifesti e manifestazioni in cui ci si ribellava ad un eventuale commissariamento descritto come la più grande infamia che potesse cadere sulla città ad opera del governo. E ciò, nonostante gli ultimi due anni, durante i quali un’altra commissione, nata dopo il suicidio della dirigente comunale, abbia riscontrato un buco di bilancio di oltre 170 milioni di euro; nonostante il fatto che i cittadini non potessero più contare sul soddisfacimento dei servizi pubblici minimi, né sui servizi sociali perché le cooperative da quindici mensilità non ricevono i loro contributi.

E allora, alla domanda che tutti in questi giorni si pongono: ma era necessario questo commissariamento? E soprattutto: andremo avanti o indietro? Come ha detto il vescovo della città, mons. Vittorio Mondello: «Molto dipende dalle responsabilità dei cittadini», da come ognuno di noi saprà comprendere cosà può fare per migliorare e contribuire al bene comune. Qualcuno sulla stampa locale ha ricordato una frase: "O noi risorgiamo come collettivo, o saremo annientati individualmente". La speranza è che una volta toccato il fondo si potrà solo risalire.
(Nella foto la delusione del sindaco Demetrio Arena).

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