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Preferisci scrivere in stampatello o in corsivo?. Ma cos’è il corsivo?, risponde attonito il ragazzino. Ormai anche il termine ha fatto la sua ora, non solo quel tipo di scrittura, caduta in disuso. Eppure il corsivo non è altro che quella grafia, come spiegano i dizionari della lingua italiana, comunemente adottata nello scrivere a mano. Peccato, però, che, oggi, non sia così diffusa. Lo stampatello potrà risultare fuorviante ai cultori della parola scritta, ma si sta prendendo la rivincita su tutti. A decretarlo sono le nuove generazioni, che hanno adottato lo stampatello come unico, incontrovertibile, assoluto segno grafico. Gli adolescenti sembrano non usare altro, e lo vergano sulla carta con una velocità che fa impallidire genitori e insegnanti. Lo stampatello minuscolo è stato invece fatto proprio dalla fascia d’età tra i 20 e i 30 anni. Non ci sono argomentazioni ideologiche dietro una tale scelta, e nemmeno motivazioni filosofiche o psicologiche. Semplicemente, è di ordine pratico: sperano in tal modo di riuscire a leggere quello che hanno scritto. Complice l’uso forsennato della tastiera del computer, anche tra gli adulti, molti hanno enorme difficoltà a scrivere in corsivo in maniera presentabile. La mano si rifiuta di unire una lettera all’altra, quasi temesse malattie infettive – ironizza Beppe Severgnini, osservatore degli italici vizi -. Scrivere un biglietto a mano sta diventando un problema. Senza allenamento produciamo scarabocchi, sgorbi. Ma non si può mandare un biglietto di condoglianze scritto in stampatello. Certo, è comprensibile, e siamo solidali con quanti soffrono per tanta inadeguatezza, fonte, talvolta, di dissapori coniugali. Scrivono in corsivo – annota Severgnini – e poi vanno dalla moglie a chiedere cos’hanno scritto. Ma la moglie non è la maestra. Non sprona: sbotta. Cos’è questo schifo? Non si capisce niente. L’imperante utilizzo della posta elettronica sta costringendo alla resa anche quanti avevano dimestichezza con penna e foglio. Nel mondo circolano ogni giorno 10 miliardi di comunicazioni via computer (le cosiddette e-mail), e, di queste, un miliardo riguarda messaggi di lavoro e corrispondenze private. Gli stranieri sono più sintetici e incisivi rispetto a noi italiani – analizza Fausto Colombo, docente di teoria e tecnica dei nuovi media alla Cattolica di Milano -. Noi tendiamo ad essere più barocchi ed elaborati. Sbagliamo linguaggio, perché l’e-mail non è una lettera: è un messaggio veloce, che deve essere conciso perché viene letto velocemente, ed è anche informale e diretto. La rapidità detta legge, ma poi provoca conseguenze. Negli Stati Uniti – riconosce Colombo – si sono accorti da tempo che la velocità e la fretta portano spesso al fraintendimento delle e-mail. Chi scrive non pesa bene le parole, chi riceve legge distrattamente, così una persona su due non capisce il senso del messaggio ricevuto. E questo può portare problemi. Anche i messaggini tramite cellulari, con quella grafia ridotta all’osso, finiscono per inibire l’esercizio della scrittura a mano. Un’analisi dei compiti in classe svolti in Gran Bretagna ha rivelato che l’80 per cento degli studenti scrive in stampatello. Negli Stati Uniti, su un milione e mezzo di compiti esaminati, è risultato che solo il 15 per cento si affida al corsivo. Nel nostro Paese, non siamo ancora a tali livelli, ma una recente indagine ha rilevato che il 45 per cento degli alunni tra i 14 e i 19 anni non sa scrivere correttamente in corsivo. Di fronte a questa tendenza che sembra inarrestabile, sembra difficile trovare un rimedio. Ma qualcuno ci sta provando. Come, ad esempio, nella britannica Edimburgo, dove in un’illustre scuola privata – la Mary Erskin & Steward’s Melville School, come precisano le cronache – il preside, tal Bryan Lewis, ha reintrodotto obbligatoriamente l’uso della penna stilografica per tutti gli alunni dai nove anni in su, mettendo al bando biro, matite e pennarelli. Appare come un ritorno al passato, quasi come rottamare l’automobile per riprendere la carrozza trainata da cavalli. Ma il responsabile di quell’istituto non teme l’ironia dei raffronti. Il suo intento è quello di reinsegnare agli studenti a scrivere a mano con bella grafia – la calligrafia, appunto -, in caratteri corsivi. Dalla sua, il preside ha un sostenitore conterraneo di tutto rilievo, il primo ministro Tony Blair, che, seppure prossimo a lasciare la guida del governo, non ha perso l’abitudine di scrivere i suoi discorsi a mano, naturalmente con una stilografica. Altro estimatore è lo scrittore inglese John Banville, vincitore dell’ultimo Booker Prize, il più prestigioso premio letterario nazionale: La stilografica ha la velocità giusta per il pensiero creativo. Il computer, o anche la biro, vanno troppo in fretta. La scuola cerca rimedi, perché qualche responsabilità se la sente addosso. Se da Edimburgo giunge un timido segnale, in Germania sono già alla strategia attuata. Nelle scuole tedesche in gran parte dei lander, l’uso della penna stilografica è obbligatorio dalla terza elementare in avanti. In Italia, in fatto di scuola, siamo alle prese con l’eterna riforma della riforma. La scrittura verrà dopo, molto dopo. Dagli anni Ottanta, ricordano gli esperti, è andata perdendosi l’attenzione verso la scrittura degli allievi. Finite le elementari, i ragazzi abbandonano la penna. Alle scuole medie, e ancor di più alle superiori, è proprio la scrittura, intesa come insegnamento ed esercizio, a scomparire dai programmi di studio. Tutta colpa dell’infatuazione per il computer, sostengono luminari della scienza. Ma è il caso di contrapporre penna e tastiera? C’è una differenza sostanziale – ha spiegato recentemente Tullio De Mauro, filosofo del linguaggio ed ex ministro dell’Istruzione -: un ragazzo che impara a scrivere in modo ordinato e leggibile, saprà poi scrivere al computer nello stesso modo. Non il contrario, però. E infatti chi non sa utilizzare la penna fa più errori di ortografia. Sembra proprio così. Lo confermano gli sbagli trovati nei temi degli studenti delle superiori, dovuti alla scarsa dimestichezza all’uso della penna. Il computer, per De Mauro, non può escludere l’apprendimento della scrittura a mano. Magari anche della bella scrittura. Anzi. Se un bambino impara ad utilizzare insieme computer e quaderno, quel bambino avrà maggiore facilità ad imparare. Altrimenti i guasti si vedono all’università, dal livello spesso disastroso di tesi e tesine. Basterà l’adozione della stilografica? L’autorevole quotidiano inglese The Times non nasconde le sue perplessità e rimarca un difetto della penna ad inchiostro, quello che probabilmente ne decretò il rifiuto di massa, ovvero le macchie che spande su grembiuli, pantaloni e camicie. Allora, tirarono un sospiro di sollievo milioni di mamme. Adesso, come reagiranno le genitrici?