Referendum giustizia, CSM e democrazia
Il quinto quesito referendario sulla giustizia, sottoposto al voto il 12 giugno, affronta il tema delle elezioni del CSM. Il Consiglio Superiore della Magistratura è l’organo di autogoverno dei magistrati. Non è però composto solo da magistrati.
È presieduto dal Presidente della Repubblica, ed un terzo dei membri è di nomina parlamentare. Sull’importanza della separazione dei poteri, non serve dilungarsi. Non è opportuno, in uno Stato democratico, che le promozioni ed i trasferimenti dei magistrati, siano decise dal Governo, che potrebbe premiare magistrati amici e punire quelli scomodi.
La Costituzione, all’art. 104, ha stabilito garanzie di autonomia, in virtù delle quali la magistratura governa se stessa. Un’indipendenza che tutte le forze politiche a parole rispettano, ma che nei fatti infastidisce molti.
Il quesito referendario vuole intervenire sulle elezioni dei componenti magistrati del CSM (definiti “togati”). È noto a molti il fatto che negli anni i magistrati si sono affiliati, più o meno formalmente, ad associazioni, di stampo prevalentemente culturale, che però sono state un trampolino di lancio per le elezioni del CSM. Formalmente queste associazioni non sono riconosciute, nel senso che sulla scheda per le elezioni non compaiono simboli, ma c’è solo uno spazio bianco per scrivere il nome di chi si vuole votare.
È però sicuramente vero che, in molte circostanze, queste associazioni di magistrati hanno dato indicazioni di voto, ed hanno svolto la funzione di ‘partitini’ dei magistrati.
Il quesito referendario, vuole incidere su questo meccanismo eliminando la raccolta firme a sostegno delle candidature. Allo stato attuale, infatti, per candidarsi, un magistrato deve raccogliere almeno 25 firme di colleghi. Secondo i promotori, la necessità di queste 25 firme a supporto della candidatura, spinge chi si vuole candidare ad affiliarsi alle associazioni (più o meno formali), di cui si è parlato, per ottenere un appoggio.
Eliminando la necessità di raccogliere le firme, un maggior numero di magistrati indipendenti potrebbe essere indotta a candidarsi.
Va però ricordato che, come si ricava dai dati delle ultime elezioni per il CSM, nessun magistrato è stato eletto con meno di 500 voti.
La raccolta delle 25 firme è quindi l’ultimo dei problemi, per il magistrato indipendente. Anche se gli fosse permesso di candidarsi senza nessun appoggio, poi certamente non sarebbe votato. Se un magistrato non riesce a trovare neanche 25 persone che firmano per la sua candidatura, è impossibile che venga votato da più di 500 persone. Quindi la candidatura non può mai essere l’atto di un singolo.
Dunque, come concreto effetto, il referendum è completamente inutile. Rappresenta, o vuole rappresentare, una forma di lamentela del popolo, o della politica, verso queste formazioni ed associazioni di magistrati. Ed in ciò si ravvisa anche il pericolo di questo strumento referendario. Infatti , in alcuni casi, i referendum, e la campagna elettorale, accendono false speranze nei cittadini. Si dice loro che attraverso la tale abrogazione il sistema migliorerà. All’esito della consultazione, però, il sistema non migliora. Il cittadino resta, così, deluso non tanto dai promotori del referendum, ma dallo stesso istituto di democrazia diretta, che perde estimatori e sostenitori.
In tali casi, il referendum rappresenta quindi una sorta di grande sondaggio, per capire l’orientamento generale sulla materia. Ma se così è, sarebbe meglio introdurre, accanto al referendum attuale, abrogativo, anche un referendum consultivo, magari con strumenti telematici, che serva solo ad orientare le scelte future. Ad esempio, nel caso di specie, sarebbe stato meglio porre una domanda diretta: «sei favorevole a ridurre il peso delle associazioni e correnti della magistratura, nelle elezioni del CSM?». Una domanda, che non aveva il potere di trasformarsi in legge, ma che almeno era ben chiara nel suo indirizzo, verso il legislatore parlamentare.
In conclusione occorre affrontare il punto più delicato. Da diverse parti politiche si sente proporre il meccanismo del sorteggio, per sostituire il voto per l’elezione del CSM. A tale proposito occorre levare una voce a favore della Democrazia. Una signora non più nel fiore degli anni, che tutti abbiamo amato, e che mostra qualche ruga di espressione. Prima di voltarle le spalle e passare dalla scelta dei propri rappresentanti, a tirarli a sorte, occorre pensarci molto bene.
La storia, e la cronaca insegnano che le distorsioni, e quindi gli accordi ed il clientelismo, non sono tipici dei sistemi democratici. I sistemi autoritari sono ben più corrotti, è solo che i giornali non ne parlano ed i magistrati non indagano. Qualunque formazione umana tende a generare dei sottogruppi, per tendenze e simpatie. Lo stesso partito fascista italiano aveva correnti, e caporioni, che sgomitavano per farsi strada. Se si studiano i sistemi organizzativi umani, ci si avvede che anche negli uffici, pubblici e privati, si creano correnti o gruppi, per scopi nobili, ma anche più banalmente per un aiuto reciproco.
In questo contesto umano, la democrazia non è il meccanismo che alimenta il correntismo, ma quello che lo limita. Infatti i rappresentanti, nei sistemi elettivi, almeno devono rispondere al loro elettorato.
Hanno una immagine da difendere ed un programma da portare avanti. Potranno indulgere talora, allo scambio di favori, ma sarà sempre un’eccezione.
Chi invece riveste un ruolo per sorteggio, o per nomina dall’alto, non risponde a nessuno, o tuttalpiù ad una sola persona. Dieci membri sorteggiati (e non ci si riferisce solo al CSM, ma a qualunque organismo), ci mettono molto di meno a trovare tra loro un’intesa, perché non devono rendere conto a nessuno.
Ma il nodo non è solo quello. Il sorteggiato non si è nemmeno proposto per il ruolo, non gli interessa, non aspira ad essere rieletto. Di fatto, se ne può infischiare delle critiche, e può anche non andare mai alle riunioni. È più che giustificato, in fin dei conti, visto che non ha nemmeno scelto di partecipare. E non porta avanti un programma che ha condiviso con gli elettori. Quindi, a ben vedere, non può neanche essere giudicato, perché non ha promesso nulla.
Quando quindi si critica l’esercizio del potere democratico, non si deve dimenticare che il problema non è la scelta dei rappresentanti, ma il loro controllo, ed i limiti al potere che è loro attribuito. La soluzione è stringere il nodo delle regole.
Le promozioni ed i trasferimenti dei magistrati non devono avvenire arbitrariamente, ma in base a criteri predefiniti e stringenti. Occorre potenziare i controlli, rendere trasparenti le scelte, criticabili i giudizi, effettivi i controlli, anche giurisdizionali. In Italia spesso chi è sovra ordinato (ossia posto in una posizione di potere), si sente sottratto al rispetto delle regole. Ed invece, è proprio l’esercizio di un maggiore potere che impone ancora più fortemente la necessità del rispetto della regola.
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In merito al referendum sulla giustizia del 12 giugno 2022 cittanuova.it dedica una serie di articoli di diversa opinione consultabili nel focus Referendum giustizia
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