Referendum elettorale, prima scadenza

C'è tempo fino al 30 settembre per raccogliere le 500 mila firme necessarie per accompagnare i quesiti. Chi lo promuove e perché, cosa prevede e dove firmare
referendum

Ha fatto – almeno per ora – meno clamore di altre proposte referendarie passate; e in questo “silenzio mediatico” – così lo defiinscono alcuni osservatori – si sta avvicinando il 30 settembre, termine ultimo per depositare le 500 mila firme necessarie per porre i quesiti al vaglio della Corte Costituzionale. Oggetto del contendere è la legge elettorale del 2005, la legge Calderoli, forse più nota come “porcellum”: ossia quella che ha introdotto le liste bloccate – i candidati vengono cioè scelti dai partiti, senza possibilità per l’elettore di esprimere una preferenza tra i nomi proposti – e forti premi di maggioranza attribuiti alla Camera su base nazionale e al Senato su base regionale, con la conseguente possibilità che si producano maggioranze diverse e un significativo sbilanciamento in senso maggioritario del responso delle urne. Se il nobile intento era quello di garantire la governabilità, ciò è quindi avvenuto a scapito di un processo democratico di scelta dei propri rappresentanti in Parlamento.

 

I promotori – A prendere l’iniziativa per tornare alla legge elettorale precedente, il cosiddetto “mattarellum”, sono stati l’Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà e parte del Partito Democratico. A sostenerli con la loro firma sono stati comunque politici di entrambi gli schieramenti, tra cui Veltroni, Prodi, Castagnetti, Parisi, De Torre, Chiti, Fassino, Franceschini, Bindi, Errani, Rossi, Vendola, Di Pietro per quanto riguarda il centro-sinistra; Storace, Martino, Guzzanti ed altri della maggioranza, con adesioni anche dal terzo polo (come Bocchino). Anche il Movimento politico per l’unità, in un appello alle forze politiche sul tema delle riforme istituzionali, ha affermato che «andrebbe compiuto ogni sforzo quantomeno per una modifica dell’attuale legge elettorale e, da cittadini, chiediamo fortemente e con assoluta priorità l’abolizione delle liste bloccate e la reintroduzione delle preferenze».

 

Che cosa chiedono – I promotori si propongono di ottenere la cosiddetta “rivivescenza”, ossia del ritorno in vigore, della precedente legge elettorale. Questa prevedeva che i seggi fossero assegnati per il 75 per cento con il sistema maggioritario tramite collegi uninominali (veniva cioè eletto un solo candidato per collegio), in cui l’elettore aveva la possibilità di esprimere la preferenza per uno dei candidati in lista, e per il restante 25 per cento con il sistema proporzionale, con una soglia di sbarramento al 4 per cento (più alta quindi di quella effettiva dell’1 o 2 per cento risultante dalla legge Calderoli).

I due quesiti – Il primo, su scheda di colore blu, si propone di abrogare per intero la legge del 2007; il secondo invece, su scheda di colore rosso, vuole abrogare soltanto le disposizioni di modifica che hanno introdotto le liste bloccate, così che sia possibile tornare ai collegi uninominali con il voto di preferenza tramite l’effetto combinato dei due quesiti. In Italia infatti il referendum è solo di tipo abrogativo, cioè di per sé non può introdurre nuove norme: tanto che, secondo la legge, «l’abrogazione di una norma, che a sua volta aveva abrogato una norma precedente, non fa rivivere quest’ultima». Per questo è necessario che – secondo quanto affermato nelle sentenze fino ad oggi emanate dalla Corte Costituzionale – dalle modifiche alla legge vigente risultanti dal referendum emerga una normativa immediatamente applicabile, cioè si possa andare a votare senza bisogno di ulteriori interventi legislativi.

 

Le ragioni – I sostenitori del referendum motivano la loro scelta soprattutto con le liste bloccate, che non consentono all’elettore di operare una scelta tra i candidati proposti dai partiti senza avere peraltro alcun modo di partecipare alla formazione di tali liste: a decidere chi entrerà in Parlamento sono cioè esclusivamente i partiti, pregiudicando quello che è invece un diritto dell’elettore. Inoltre, sostengono, il metodo di ripartizione dei seggi non sarebbe realmente rappresentativo della realtà del Paese, in quanto fortemente sbilanciato dal premio di maggioranza, né garantirebbe davvero la governabilità, sia per il rischio di maggioranze diverse dei due rami del Parlamento, che per la pressione che il “porcellum” pone sui piccoli partiti a formare coalizioni non necessariamente stabili con forze politiche più grandi.

 

I tempi – Come già detto, le 500 mila firme a sostegno del referendum devono essere presentate alla Corte Costituzionale entro il 30 settembre, perché la Corte di Cassazione possa verificarne la validità entro il 20 dicembre. La palla tornerà poi alla Corte Costituzionale, che il 10 febbraio 2012 valuterà l’ammissibilità dei quesiti. Se i giudici riterranno che non vi siano ostacoli giuridici (come quello menzionato sopra riguardo all’immediata applicabilità o meno della normativa risultante), il referendum sarà indetto per la primavera dell’anno prossimo. In ogni caso, anche qualora il responso della Corte sia negativo, la raccolta di firme potrà avere avuto un effetto di spinta popolare sul Parlamento per varare una nuova legge elettorale e, a seconda del numero di adesioni raccolte, costituirà un chiaro segnale della volontà dei cittadini di votare con una nuova legge elettorale.

 

Dove firmare – Per firmare i due quesiti ciascun elettore ha due possibilità:

        recarsi presso la segreteria generale, l’ufficio elettorale o l’Ufficio relazioni con il pubblico (Urp) del proprio comune di residenza;

        recarsi a uno dei banchetti presenti sul territorio in ogni città (anche non quella in cui si è residenti) di cui è possibile vedere l’elenco, le date e gli orari cliccando qui http://comitato.referendumelettorale.org/dove-firmare-2/

 

Per avere ulteriori informazioni e fare una scelta consapevole, vi invitiamo a consultare

 

 

 

 

 

e a leggere l’appello rivolto alle forze politiche dal Movimento politico per l’unità.

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