Referendum costituzionale, premesse ed effetti possibili
Non solo referendum. Si avvicina a grandi passi l’election day, che poi è di due giorni, il 20 e il 21 settembre, quando gli elettori di Veneto, Liguria, Marche, Toscana, Campania e Puglia rinnoveranno le amministrazioni regionali, quelli di 962 comuni le amministrazioni comunali e tutti gli elettori italiani potranno pronunciarsi sul referendum, cioé sulla legge costituzionale che riduce il numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200.
Il dibattito sul referendum, surclassato dalle ricadute politiche delle competizioni regionali, è decollato con ritardo ma finalmente è possibile leggere e ascoltare interventi meditati e tecnicamente informati per farci un’idea. Come sempre, sarà importante non disertare le urne perché, se è vero che non vi sono problemi di quorum (questo referendum è valido anche se si vota in pochissimi), si tratta di una legge costituzionale, che oltre a riguardare direttamente ciascuno di noi, coinvolge le future generazioni. Inoltre è facile immaginare che nei luoghi in cui vi è abbinata un’altra elezione, l’affluenza seguirà quella, mentre dove le urne si aprono solo per il referendum, c’è il rischio che sia molto bassa, causando un effetto a macchia di leopardo che poco si addice alla Costituzione.
Ma per uscire di casa e andare a votare occorre avere le idee sufficientemente chiare.
È vero che in confronto all’analogo referendum del 2016, stavolta il quesito è essenziale: si approva o non si approva la riduzione dei componenti di Camera e Senato, come sopra detta. Non c’è altro. Alla semplicità del quesito non si accompagna però altrettanta semplicità di sostanza, perché si tratta del Parlamento, e anche incidere solo sul numero dei parlamentari diventa una decisione di grande importanza. Infatti stanno crescendo le voci contrarie, che non di rado provengono anche da addetti ai lavori (giuristi esperti nel diritto costituzionale, ad esempio).
È importante misurarsi con le opposte argomentazioni perché, nella libertà di scegliere, è necessario scongiurare di cadere in una scelta motivata dalla c.d. “antipolitica”.
Bisogna infatti dire la verità su questo “taglio di parlamentari”: esso nasce con motivazioni legate alla lotta alla “casta” e al risparmio del denaro pubblico che appaiono inammissibile la prima e debole la seconda. La questione che ha preso il nome dal titolo di un famoso pamphlet che puntava il dito sulle pratiche di autoconservazione clientelare di gran parte della classe politica, alla radice della spesa pubblica esorbitante, ha via via perso la potenziale carica di presa di coscienza di una problematica presente e diffusa, per sfociare nel suo opposto: la condanna aprioristica del politico in quanto politico, specie se parlamentare. La poca confacenza di un tale approccio con l’istituzione Parlamento è evidente a tutti, eppure la sua forza è stata inarrestabile.
Ma a ben riflettere, l’attacco aprioristico ai componenti di un Parlamento si giustifica davvero solo se si parte da un assunto ostile alla democrazia rappresentativa: se, ad esempio, si ritiene giunto il tempo della autodeterminazione diretta dei cittadini, senza mediazione rappresentativa, oppure se si ritiene che la democrazia debba cedere il passo a sistemi meno garantisti ma più efficienti. In questi casi è d’obbligo l’aperta affermazione di tale obiettivo finale, così come non sottrarsi al confronto di idee che ne nasce. Ma se non si hanno chiari questi assunti, se mai vive dentro di noi qualche impulso punitivo, magari rancoroso, contro “la casta”, occorre fare attenzione perché un voto dato solo su quell’onda è un boomerang (tanto più che vi sono fior di esperti e di politici perfettamente in grado di motivare con serietà il loro SI).
Detto questo, un altro fattore da tenere a mente riguarda le ricadute della riduzione dei deputati e senatori sia sul sistema che sui lavori parlamentari, per cui sono necessari aggiustamenti costituzionali e modifiche a leggi e ai regolamenti che disciplinano i lavori delle due Camere. In particolare, occorrerà necessariamente diminuire, con legge costituzionale, anche il numero dei delegati regionali che partecipano alla elezione del Capo dello Stato, per mantenere l’attuale proporzione. Ancora necessariamente occorrerà riscrivere i regolamenti parlamentari nella parte in cui disciplinano la composizione e i lavori delle commissioni, che sono il cuore del procedimento legislativo.
A questi interventi necessari se ne affianca un altro di pari importanza: la legge elettorale. Se restasse l’attuale sistema, bisognerebbe quantomeno rivedere, con legge costituzionale, la base elettiva del Senato, per renderla da regionale a circoscrizionale (altrimenti si verificherebbero collegi uninominali giganteschi). Oppure si dovrebbe reintrodurre un sistema proporzionale: come si sa, gli accordi tra le forze politiche portano in questa direzione e negli ultimi giorni è stato dato impulso a questo e ai predetti progetti di legge. Anzi, marcia assieme a loro anche la proposta di equiparare l’elettorato attivo e passivo dei senatori, che sarebbero eletti come i deputati: da neomaggiorenni e non più da 25enni, e si diventerebbe senatore a 25 anni e non più a 40.
Per concludere, è utile transitare, seppur a cenni, a considerazioni di sistema. Il parlamentarismo è fuor di ogni dubbio l’impronta istituzionale impressa dalla Costituente. Negli ultimi decenni si è assistito a un progressivo e sinora inarrestabile spostamento dell’asse dal Parlamento all’esecutivo, che ha via via invaso la funzione legislativa. La decretazione d’urgenza è diventata la modalità ordinaria di legiferare e il voto di fiducia quella ordinaria di approvare.
È qui che occorre fermarsi a riflettere. Il numero dei parlamentari non è determinante ai fini del corretto rapporto tra poteri, ma qualunque cosa si voti non si può perdere di vista questo dato di sistema. Nel “pacchetto” di interventi sarebbe infatti urgente anche rivedere le condizioni di emanazione dei decreti-legge circoscrivendo al massimo il loro uso, come peraltro facevano le proposte varate dalle Commissioni Bicamerali Bozzi e poi De Mita-Iotti (alle quali si fa anche risalire l’iniziativa della riduzione del numero dei parlamentari).