Referendum, che trappola!
Lintento iniziale era di costringere il Parlamento a riformare le regole del voto e renderle più democratiche. Ma ora può succedere lesatto opposto.
Ci capita di dover rispondere a domande difficili, a noi elettori. Una di queste è certamente quella che ci aspetta il 21 giugno, giorno in cui si vota per il referendum sulle leggi per l’elezione dei deputati e dei senatori. Già il meccanismo del referendum non è esattamente immediato: «Come, bisogna votare “no” se la legge ci va bene e votare “sì” se non ci va bene?!?». Cerchiamo di capire un po’ come funziona.
In Italia, il compito di fare le leggi dello Stato è del Parlamento, che agisce in rappresentanza di tutto il popolo: è al popolo, infatti, che appartiene la «sovranità» (art. 1 della Costituzione). Da ciò deriva il potere del popolo di intervenire, abrogandola (cioè, cancellandola), su qualche legge che il Parlamento avesse approvato, ma che non si ritenesse in favore dell’interesse generale. Ecco quindi che la Costituzione consente, ad almeno 500 mila cittadini, di chiedere un referendum abrogativo su una legge vigente.
La domanda che ci si trova sulla scheda elettorale è: «Volete voi che sia abrogata la legge…?». Da qui nasce il meccanismo rovesciato: la risposta “sì”, se la legge non ci va bene; “no”, se pensiamo che invece debba rimanere così com’è. La faccenda è ulteriormente complicata dal fatto che la domanda di abrogazione può essere anche parziale, riguardare cioè solo alcune parti di una legge.
Ipotetico grimaldello
E come sarà il prossimo referendum? Riguarda, come si è detto, le leggi elettorali per il Parlamento, e risparmiamo a Città nuova l’uso del poco elegante appellativo con cui esse sono state denominate (peraltro, dallo stesso ministro Calderoli, che ne fu l’autore), soprattutto a causa delle liste bloccate (cioè, senza possibilità per l’elettore di esprimere la preferenza), che hanno dato vita ad un Parlamento scelto da una decina di presidenti e segretari di partito.
L’iniziativa referendaria, quindi, ha avuto una notevole risonanza perché apparve come il “grimaldello” per costringere il Parlamento a riformare le regole e renderle più democratiche. Ma la legge elettorale non può essere abrogata interamente: il quesito referendario deve necessariamente essere parziale. La Corte costituzionale, infatti, ritiene possibili questi referendum solo a patto che essi non creino nessun vuoto: il quesito referendario deve essere tale che anche la vittoria dei “sì” deve lasciare in piedi una legge immediatamente applicabile, per garantire sempre il funzionamento di un organo costituzionale come il Parlamento.
I tre quesiti
Questo vale per i quesiti che ci riguardano. Vediamoli: sono tre, che si tradurranno in tre diverse schede. I primi due (due pagine fitte fitte), tendono ad attribuire il premio di maggioranza (il 55 per cento dei seggi: alla Camera su base nazionale, al Senato su base regionale) al partito che prende più voti, eliminando la possibilità di coalizione tra liste; inoltre, le abrogazioni comporterebbero anche una soglia di sbarramento del 4 per cento per la Camera e dell’8 per cento per il Senato. Va detto che questi interventi sulla legge sono stati pensati in un momento in cui il Parlamento era affollato di gruppi, la maggioranza era composta da 12 partiti e il governo da 102 membri: “semplificare” era una parola d’ordine e l’essenzialità dell’attuale Parlamento era inimmaginabile.
Il terzo quesito punta ad eliminare la possibilità per i grandi leader di candidarsi in più di una circoscrizione, per impedire che chi segue in lista debba dipendere dalla scelta del primo. Per inciso: nulla il referendum fa, perché non lo può fare, per reintrodurre le preferenze.
Il fattore quorum
Un’altra nota tecnica da aver presente è che il referendum ha bisogno di un quorum, cioè è valido solo «se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto» (così la Costituzione). Lo ricordiamo: gli ultimi referendum è come non si fossero svolti, poiché si è recato a votare meno del 50 per cento degli elettori. C’è da dire che negli anni l’astensione è assurta a scelta politica, che affianca le altre due possibili, voto “sì” o voto “no”.
E in questo caso? Le valutazioni sono ovviamente molto soggettive. Il dibattito che si svolge intorno al Sì-No-astensione passa soprattutto per l’interpretazione di una vittoria dei Sì.
Un “sì” contraddittorio
Per il partito di maggioranza al governo il successo del “sì” consoliderebbe una legge che ha già dato buona prova di sé e che uscirebbe migliorata dai correttivi apportati dal popolo con il referendum; una ulteriore iniziativa legislativa diventerebbe quindi improbabile, tanto più che la nuova versione della legge renderebbe facile al Pdl conquistare la maggioranza tanto alla Camera quanto al Senato. Per altri invece (ad esempio, il segretario del Pd Franceschini), la vittoria dei “sì” sarebbe soprattutto il messaggio al Parlamento che i cittadini rifiutano questa legge e ne chiedono un’altra più democratica.
I partiti più piccoli sono in forte allarme, specialmente la Lega Nord, che vede grandemente in pericolo la propria presenza al governo e quindi, alla fine, la propria esistenza. E si affidano all’astensione (del resto, se non si è d’accordo, la scelta più produttiva è di non andare al seggio: votare “no” aiuterebbe i “sì” a vincere sostenendo il quorum). Anche se pure la “vittoria” dell’astensionismo sarebbe esposta ad interpretazioni partigiane. Insomma, occorre formarsi il proprio convincimento con lo sguardo a ciò che appare meglio per il Paese: in questo momento, con questa classe politica.
BOX
Sì, No, non vado
Quesiti 1 e 2
(Camera e Senato)
NO. Se vincono i “no”, le norme oggetto del referendum resteranno in vigore.
SÌ. Se primeggiano i “sì”, scompariranno le coalizioni di partiti. Senza coalizioni, la soglia di accesso a Camera (4 per cento) e Senato (8 per cento) varrà per tutti e il premio di maggioranza (il 55 per cento dei seggi: alla Camera su base nazionale, al Senato su base regionale) andrà alla lista che avrà ottenuto più voti.
Astensione. Se a votare non si reca il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, il risultato dei referendum non è valido e le norme in questione non vengono modificate.
Quesito 3
(candidature multiple)
NO. Chi vota così intende mantenere in vigore l’attuale sistema.
SÌ. Chi opta per il “sì”, intende modificare la legge in modo che risulti vietato candidarsi in più di una circoscrizione. Pratica, questa, utilizzata dai leader di partito per raccogliere più voti e poi decidere chi far subentrare al proprio posto, a seconda del primo dei candidati non eletti in ciascuna circoscrizione.
Astensione. Nessuna modifica, se non si reca a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto.