Reddito di Cittadinanza: più croci che delizie

Le falle del Reddito di  cittadinanza. Abbiamo ancora troppi poveri: l'ultimo Rapporto Censis, segnala un drammatico peggioramento della povertà.
Foto Palazzo Chigi/Filippo Attili/LaPresse

In Italia trovarsi in una “vera” situazione di bisogno per povertà disoccupazione o altro, non è una questione né semplice né facile anche per l’atavica politica assistenzialistica che non ha mai permesso la piena realizzazione dell’art. 3 della Costituzione che è «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Foto Palazzo Chigi/Filippo Attili/LaPresse

E nonostante la felicità troppo frettolosa ed incompleta di alcuni ministri di due governi fa che ha fatto dire: «sconfitta la povertà» abbiamo ancora troppi poveri se è vero che ad oggi l’ultimo Rapporto Censis, segnala un drammatico peggioramento della povertà. Stando ai dati, infatti, nel 2020 sarebbero circa 2 milioni le famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta, un aumento del 104,8% rispe tto al 2010, quando se ne contavano 980mila. L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), rispetto alle aree del Centro (+67,6%) e del Sud (+93,8%).

C’è chi da decenni studia e ricerca nelle politiche Sociali come Tiziano Vecchiato della Fondazione Emanuela Zancan che sottolinea che «per uscire dalla confusione di questo dibattito, bisognerebbe focalizzarsi sull’obiettivo. Chiediamoci perché parliamo di reddito di inclusione (REI) o di reddito di cittadinanza. Ne parliamo perché c’è tanta povertà. Benissimo, ma non è questo l’obiettivo». Il mantra del carissimo amico Tiziano Vecchiato è sempre lo stesso: «i cosiddetti trasferimenti economici non riducono la povertà di un millimetro. E si badi che con 19 miliardi di extra-spesa rispetto a quella normale dei comuni, che ogni anno hanno a disposizione 7miliardi per aiutare chi è in povertà e fare altre attività di assistenza sociale».

Da lui ancora capiamo che «ci si perde su fattori aggiunti e su input tecnici, non sulla strategia. Serve una capacità vera – ad esempio: mancano 3mila assistenti sociali, per intermediare a dovere e con competenza le risorse – non fare inutile strategia di comunicazione persuasiva. Ma siccome oggi remunera molto in termini elettorali promettere e promettere a tutti, allora ci si ferma qui. Con uno sperpero di risorse e di energie immane. Si usano linguaggi diversi, ma quei linguaggi parlano di un breve, brevissimo termine. Nessuno investe nel futuro e, non a caso, i tassi di povertà pesano sulla fascia 0-40, ossia sulla fascia di popolazione che dovrebbe mettere al mondo figli e farli crescere. Viviamo in una società incapace di guardare la vita e coltivare il futuro». Insomma «dobbiamo chiarirci se vogliamo aiutare chi è in condizioni di povertà a convivere con questa condizione – e, quindi, fare il “classico” assistenzialismo: fatto che in sé non è il male, ma non è nemmeno il meglio possibile – oppure se vogliamo aiutare chi è in condizione di povertà ad uscirne. E non se ne esce con le affermazioni che si sono sentite che il REI o il reddito di cittadinanza eliminerà la povertà assoluta».

Dopo queste fondamentali analisi di scenario vediamo i “difetti di fabbrica”. Sarebbero «solo un terzo i percettori del RdC potenzialmente occupabili”, «le famiglie numerose sono penalizzate», «i servizi per la presa in carico vanno potenziati» e infine «il limite dei 10 anni di residenza in Italia per gli immigrati non è paragonabile a livello europeo ed è discriminatorio». Queste alcune delle problematicità estrapolate dai Media dopo che sono state presentate le proposte nella Commissione scientifica sul RdC presieduta da Chiara Saraceno di recente costituzione.

Il presidente Nazionale degli Assistenti Sociali Gianmario Gazzi osserva che «sono anni che noi, assistenti sociali e non solo, continuiamo a dire che vanno fatti interventi correttivi. Non per ostilità alla misura o per partito preso, ma per i dati noti da tempo che vedono una oggettiva discriminazione di intere fasce di persone – non fruitori o utenti, ma persone – dall’unica reale misura di contrasto della povertà. E quindi, ora, speriamo si parli di persone povere. I dati lo dicono, due terzi di questi 3,8 milioni di persone non solo non sono occupabili a breve, ma sono povere e hanno bisogno di aiuto»

Un’altra falla del sistema è quello dei controlli che farebbe acqua da varie parti se ogni tanto sentiamo di possessori di Ferrari o boss della criminalità organizzata percettori del RdC. Però badiamo bene la povertà è un dramma vero che merita attenzione e rispetto e non come certi politici che gridano all’untore per segnalare i soliti immigrati colpevoli di tutto e di sempre ed invece servirebbe attenzione, ascolto, vicinanza, conoscenza e accompagnamento. Lo ha detto anche il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta in un’intervista: «le persone bisogna conoscerle e parlarci… serve potenziare i servizi per l’impiego». La commissione Saraceno ha detto chiaramente che serve potenziare i servizi sociali, attenzione, tutti i servizi sociali non il pezzetto più redditizio per le prossime elezioni, per sostenere famiglie, minorenni e persone in difficoltà: la maggior parte dei percettori del Reddito di cittadinanza.

Foto Claudio Furlan LaPresse

Ora il dibattito si sposta nelle aule del Senato. Il governo di unità nazionale però non è molto unito su queste priorità, che a occhio, riguardano almeno i due milioni e mezzo di persone «non attualmente occupabili». Più facile evitare di difendere chi non ce la fa, chi non è simpatico alle masse, chi non è meritevole secondo il mainstream. Sia il Parlamento a decidere la rotta. Dalle prime mosse della Legge di Bilancio, questo non è avvistato sui radar. Non c’è traccia di rafforzamento dei servizi sociali. Non vi è traccia di fondi necessari per i non autosufficienti. I livelli essenziali non pervenuti. Nemmeno pervenuti i minorenni, la salute mentale o le dipendenze, al momento pochi spiccioli forse per dire “abbiamo fatto il massimo”.

Ora che tutti, o molti, sono saliti a bordo del transatlantico delle riforme e hanno capito cosa può essere veramente incisivo, speriamo che anche chi è escluso possa iniziare a diventare veramente una priorità. Diciamolo a chiare lettere da anni e anni queste persone che Papa Francesco con lungimiranza e saggezza chiama “cultura dello scarto” pagano la demagogia di una politica che si è illusa di aver sconfitto la povertà.

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