Recovery fund e Italia, strategie a confronto
Occasione unica e irripetibile. La scadenza decisiva per il nostro Paese è rappresentata dal Piano italiano di investimenti per l’utilizzo del Recovery Fund che sarà presentato, per grandi linee, alla Commissione europea il prossimo 15 ottobre, assieme al Documento programmatico di bilancio. Il rispetto del termine è stato ribadito il 14 settembre dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri nell’audizione in commissione Bilancio e finanza della Camera. Il piano dettagliato.
La consegna del piano nazionale di rilancio, con tanto di dettagliato cronoprogramma degli investimenti e delle riforme strutturali, arriverà a Bruxelles a gennaio 2021. Condizione indispensabile per ottenere l’anticipo di 20 miliardi di euro sul totale previsto dei 209 miliardi distinti tra sovvenzioni e prestiti. Il dibattito in materia è complesso e vede posizioni e prospettive molto diverse tra loro. È l’argomento dell’inchiesta del prossimo numero di Città Nuova che esce ad ottobre nella sua nuova veste grafica.
Per entrare nel merito, è opportuno ascoltare le diverse opinioni su questo crocevia decisivo per il nostro futuro possibile. L’Istituto Bruno Leoni, centro di ricerca molto attivo nel promuovere la cultura liberal liberista. Presieduto da Franco Debenedetti, imprenditore e manager, per 3 legislature senatore del centrosinistra.
Alle domande che abbiamo avanzato ha risposto Carlo Stagnaro, direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto. Ha, tra l’altro, ricoperto vari incarichi presso il Ministero dello Sviluppo Economico durante i Governi Renzi e Gentiloni, tra cui quello di capo della segreteria tecnica del ministro Guidi.
La pandemia ci ha esposto ad una crisi dagli esiti imprevedibili. Ritiene che siano di portata storica le decisioni prese dalla Ue e che rappresentino un cambiamento radicale di impostazione nei confronti della logica dell’austerità adottata per la crisi del 2007-2008?
Senza dubbio i cambiamenti in atto hanno una dimensione che va molto al di là quella degli interventi “emergenziali”. Il punto non è tanto quello dell’”austerità”: non sono sicuro che ci sia mai stata vera austerità in Europa, e in ogni caso i vincoli di bilancio inevitabilmente torneranno a farsi sentire. Il cambiamento investe piuttosto il ruolo dell’Unione, che per la prima volta assume una funzione diretta e di primo piano nei trasferimenti interni, finanziati attraverso l’emissione di debito comune. E’ presto per dire quali saranno le conseguenze di lungo termine, ma certamente è un passo importante – vedremo se positivo o negativo – verso la costruzione di un’unione dei trasferimenti.
Sarà decisivo il modo di impiego delle risorse del Recovery fund. Quali sono, a suo parere, concretamente le scelte strategiche fondamentali che deve prendere il nostro Paese nel piano di ripresa?
Intanto, è importante concentrare le risorse su un numero limitato di grandi progetti, anziché disperderle in una miriade di rivoli, finalizzati ad alzare il potenziale produttivo del paese. Questo può riguardare, per esempio, le infrastrutture, la formazione di capitale umano, la digitalizzazione. Quello che conta è che si tratti di investimenti – e non di spesa corrente o, peggio, di iniziative puramente ridistributive – finalizzati a rimuovere quegli ostacoli che finora hanno rallentato o impedito la crescita economica. Purtroppo, la sensazione è che il Governo stia invece andando nella direzione opposta.
Secondo Mc Kinsey, la più nota multinazionale di consulenza strategica, si prevede la perdita di 60 milioni d posti di lavoro nella sola Europa. Il professor Gael Giraud, su Civiltà Cattolica, ha detto che «solo lo Stato può creare nuovi posti di lavoro capaci di assorbire la massa» dei vecchi e nuovi disoccupati. L’idea dello Stato come datore di lavoro di ultima istanza presuppone un discernimento sul «tipo di settori industriali per i quali vogliamo favorire l’uscita dal tunnel». Quale è il suo giudizio in merito?
Lo Stato non può creare posti di lavoro: quando investe in un settore (o comunque lo privilegia attraverso scelte fiscali o regolatorie) lo Stato influenza l’allocazione dei fattori. Ma non dispone, e non può disporre, delle informazioni necessarie a compiere la scelta migliore: il progresso nasce solo da una infinita serie di tentativi ed errori, che sono possibili quando una pluralità di soggetti competono gli uni con gli altri. Lo Stato dovrebbe semmai intervenire per sostenere i lavoratori che perdono la loro occupazione e aiutarli ad acquisire adeguate qualifiche professionali per ricollocarsi. NOn serve uno Stato imprenditore né tanto meno uno Stato-ufficio di collocamento: entrambi hanno già dimostrato i propri limiti, e proprio la stagnazione italiana degli ultimi decenni ne è una prova.
È possibile e auspicabile l’accesso universale gratuito al vaccino contro il Covid 19 come richiesta da diverse istanze pubbliche e da papa Francesco? Ad esempio l’economista Stefano Zamagni propone di “creare un’aggregazione di fondazioni e enti pubblici e privati volta a costituire un fondo transnazionale per remunerare coloro che investono risorse per la ricerca sui vaccini”. Quale è il suo parere?
Intanto, il vaccino bisogna svilupparlo e svolgere tutti i test necessari a garantire che possa essere somministrato in sicurezza. Il modo migliore per arrivare a questo risultato è lasciare che le imprese farmaceutiche facciano il loro mestiere, investendo in ricerca, sviluppo e produzione del vaccino in quantità sufficienti una volta che sarà autorizzato. Poi, date le caratteristiche del Covid-19, credo sia opportuno prevedere forme di obbligatorietà. Non avrei particolari obiezioni se i costi relativi fossero coperti dallo Stato, per la totalità della popolazione oppure agli individui appartenenti ai ceti sociali medio-bassi. Questo a livello nazionale. A livello internazionale, penso che sarebbe utile una mobilitazione di soggetti pubblici e privati per promuovere la diffusione e la somministrazione del vaccino anche nei paesi e alle persone che non possono permetterselo.