Reato di tortura, il Senato approva tra dure critiche

Alcuni emendamenti accolti nell’assemblea di palazzo Madama rischiano di rendere vana l’applicazione di una norma sollecitata a livello europeo. Il testo di legge torna alla Camera

Dopo l’ulteriore monito europeo all’Italia, il 17 maggio il Senato ha approvato il disegno di legge sul reato di tortura con 195 si e 8 no e 34 astenuti. Anche questa volta in molti, dall’associazione Antigone ad Amnesty international, hanno rivolto aspre critiche alle forze politiche di centro-destra, responsabili di voler proteggere a tutti i costi gli appartenenti all’apparato statale, anche quando commettono gravi violazioni dei diritti umani.

Il testo approvato, che è stato radicalmente modificato rispetto a quello della Camera, prevede l’innalzamento da 4 anni a 10 anni di reclusione per chiunque, «con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose». Viene aggiunta nel testo la seguente precisazione: «se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona».

Proprio l’inserimento di quest’ultima espressione ha dato adito a dure critiche da parte di alcuni senatori, in prima fila Felice Casson (Mdp), che si sono tenacemente opposti all’approvazione della modifica presentata dai relatori Nico D’Ascola (alfaniano di Ap) ed Enrico Buemi (socialista del Gruppo Misto); finalizzata – sono parole di Casson – a «rendere una corsa a ostacoli la condanna per il reato di tortura». La questione è puramente tecnica e la vera introduzione del reato di tortura in Italia, oppure la sua comparsa di pura facciata, si gioca sulle singole parole. Casson aveva proposto di inserire invece la frase «una o più condotte» perché «altrimenti non sarà quasi mai punibile». Insomma, voler introdurre che si è punibili solo se siano state commesse più condotte, prosegue Casson, «è una ingiustificata modifica per impedire che questo reato diventi qualcosa di concreto».

Altri problemi applicativi vengono evidenziati dall’inserimento dell’espressione «verificabile trauma psichico», elemento che a livello processuale è di difficile accertamento. Dal testo approdato in aula sparisce pure il riferimento alle confessioni estorte, alle pressioni, alla tortura per motivi di discriminazione. Per questo, a parere di molti, si è di fronte ad un completo aggiramento delle convenzioni internazionali. L’ulteriore emendamento approvato dal Senato, presentato sempre dai senatori D’Ascola-Buemi, prevede che non si può parlare di tortura nel caso di «sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti». Secondo i due senatori proponenti l’emendamento, se l’agente rompe il braccio a qualcuno mentre lo arresta ciò non rientra nel concetto di tortura.

Nelle varie letture che ci sono state, il reato è passato da “proprio” a “comune” contrariamente a quanto stabilito dalle convenzioni internazionali: cioè il fatto che possa essere commesso da un agente delle forze di polizia diventa solo un’aggravante. In più sono state ridotte le condanne: il poliziotto accusato di tortura rischia da 5 a 12 anni, mentre nel testo uscito dalla Camera la pena era dai 5 ai 15 anni. È prevista inoltre la reclusione a 30 anni se dal reato deriva la morte quale conseguenza non voluta. Fino ad arrivare all’ergastolo se il colpevole cagiona volontariamente la morte.

È prevista, inoltre la pena della reclusione da 6 mesi a 12 anni se il «pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso».

Importante, infine, nel testo approvato in Senato, la previsione che «le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale».

Il testo approvato contempla anche un riferimento ai migranti prevedendo che non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura.

Non può essere riconosciuta l’immunità diplomatica agli stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale. Nel rispetto del diritto interno e dei trattati internazionali, lo straniero è estradato verso lo Stato richiedente nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso il tribunale stesso o lo Stato individuato ai sensi dello statuto del medesimo tribunale.

La palla passa ora nuovamente alla Camera con un dibattito che resta apertissimo.

 

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