Il reato di tortura è legge

Dopo 4 anni, approvato il disegno di legge. Pene fino a 12 anni se chi commette il reato è un pubblico ufficiale. Restano dubbi sulla reale applicazione della norma

Dopo il sì del Senato, anche la Camera ha dato il via libera definitivo al testo di legge, con 195 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti.  Hanno votato a favore Pd e Ap, mentre molte forze si sono astenute, tra cui M5S, Sinistra italiana e Mdp.

La legge introduce nell’ordinamento il reato di tortura, recependo così le indicazioni contenute nella Convenzione di New York del 1984.

Le pene previste sono pesanti: la reclusione da 4 a 10 anni, che sale fino a un massimo di 12 se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei suoi doveri.

L’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento arriva dopo quattro anni. Tanti ne ha impiegato il Parlamento per approdare alla legge. Quattro anni caratterizzati da contrasti tra le forze politiche e da tentativi strumentali da parte dello schieramento politico di centrodestra di modellare il testo normativo a tutela delle forze dell’ordine. L’iter del provvedimento, per questo, frutto della sintesi di 11 diverse proposte di legge, è stato particolarmente complicato: iniziato al Senato esattamente il 22 luglio del 2013, per poi essere licenziato un anno dopo, è approdato alla Camera nel 2015 per poi tornare nuovamente all’esame di palazzo Madama e, infine, essere licenziato da Montecitorio.

Il testo è stato più volte modificato nei passaggi tra i due rami del Parlamento, mentre non ha subito ulteriori modifiche durante l’ultimo esame. Si tratta di un provvedimento che ha diviso le forze politiche: voluto dal Pd e sostenuto dagli alleati di governo, è invece stato osteggiato dalle forze di centrodestra, Lega e FdI in testa, che hanno sempre sostenuto che si trattasse di un provvedimento punitivo nei confronti delle forze dell’ordine. Nessuna «norma vessatoria», al contrario si tratta di un provvedimento che «colma una lacuna» e fa sì che l’Italia «non sia più fanalino di coda», è stata sin dall’inizio la posizione dei sostenitori del testo.

Ma, assolto il nostro impegno nei confronti dell’Europa, che da tempo bacchettava l’Italia per la mancata introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano, i problemi applicativi della legge rimangono (vedi puntuali approfondimenti in articolo Città Nuova on line del 26 maggio 2017). Saranno ora le sentenze dei tribunali penali a dirci se le perplessità sull’applicazione della norma alle situazioni concrete era fondato o meno.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons