Real-politik o real-dialogo?
Le coste libiche e quelle italiane non sono mai state tanto vicine tra di loro come in questi giorni e forse mai così lontane.
Le coste libiche e quelle italiane non sono mai state tanto vicine tra di loro come in questi giorni e forse mai così lontane. Mi ha colpito sentire rievocare dai media la Realpolitik che i nostri governi europei hanno intrattenuto con quelli del Medio Oriente e del Nord Africa, quella politica “realistica” o “concreta” che guarda agli interessi economici senza tener conto dei principi etici. Che razza di realismo è, mi sono chiesto, quello che per anni non ha saputo o voluto vedere la “reale” situazione di popolazioni intere sfruttate e oppresse da governanti che hanno gestito la cosa pubblica come un affare privato? Il dialogo tra Nord e Sud del Mediterraneo in questi decenni ha risentito di una mentalità ancora coloniale.
Il decimo anniversario della morte di padre Marcello Zago, missionario oblato di Maria Immacolata, grande artefice del dialogo, stratega dello storico incontro tra i capi delle religioni tenutosi 25 anni fa ad Assisi, mi ha rammentato quando lo accompagnai a Prato, dove tenne una lezione magistrale sul ruolo delle religioni per la pace e la cooperazione. A sindaci lì radunati da diverse città che si affacciano sul Mediterraneo ricordò con parole profetiche la necessità del dialogo e soprattutto dell’educazione al dialogo: «Rispetto, collaborazione, libertà, reciprocità sono esigenze del vivere comune; questi atteggiamenti e questi valori non si acquistano d’un tratto e una volta per sempre. Sono un cammino da percorrere, sono una cultura da promuovere. Il dialogo è una responsabilità di tutte le religioni. Il suo esercizio esige una educazione di massa che faccia superare i pregiudizi: esige anche il rispetto dei diritti umani, che si realizza sempre tra persone e gruppi concreti. Una formazione adeguata sull’esistenza e sulla natura delle altre religioni diventa una via obbligata».
Non possiamo delegare ai soli politici le relazioni tra i popoli. Che la Realpolitik faccia il suo cammino, ma che non sia né l’unica né la principale via per i rapporti. Che non si scavalchi più la gente “reale” e che alla gente si dia la possibilità di conoscenza “reale” dell’altra gente. Solo così non si dirà più che il braccio di mare di 167 chilometri “divide” il Sud e Nord del Mediterraneo, ma che li unisce.