Re Lear, ovvero l’opera mancata di Verdi
«O terra, rigetta dal grembo i defunti!». È il canto iniziale che s’ode nel silenzio. Sono figure fantasmatiche, apparizioni della mente di un sogno/incubo, quelle che vibrano nello spazio cupo di una stanza abitata da una sedia a rotelle a guisa di trono, e da due file di letti ospedalieri con manti di pelo nero su cui giacciono persone in carne ed ossa, ma che appartengono al regno dei morti. Appena sfiorate da una mano che le richiama in vita, una ad una prenderanno consistenza di personaggi per dire, per essere, per rievocare.
Sono gli attori “sensibili”, segnati nella mente e nel corpo, la cui partecipazione restituisce la verità psicofisica alle diverse rappresentazioni della follia presente nella vicenda di Re Lear. Incarnano la durezza dell’esistenza reale e del dramma scespiriano, del sovrano raggirato dalle figlie adulatrici a cui ha diviso il suo regno dando loro fiducia per superbia, rinnegando invece l’unica figlia sincera e fedele, Cordelia, da lei infine soccorso nella pazzia dell’errante e della senilità precoce per lo sbaraglio del tradimento.
Artisti di indiscussa qualità registica e scenica per unicità di lavoro e di ricerca, Francesco Pititto e Maria Federica Maestri di Lenz Fondazione, sono gli artefici di questa importante e ambiziosa operazione teatrale-installativa che scardina ogni linearità narrativa a favore di un’immersione visiva e uditiva, “immagine sonora dal potenziale atmosferico”, che ingloba parole, immagini, corpi, canto, e musica, in un unicum drammaturgico. Due allestimenti in un unico allestimento, con il pubblico che transita in due luoghi, con uno scambio di sala tra il primo e il secondo atto: due percorsi nel percorso verso la ricomposizione di un’opera incompiuta, ovvero quel Re Lear mai musicato a cui Giuseppe Verdi si dedicò senza portarlo a compimento e del quale esiste solo il libretto di Antonio Somma contenente le correzioni dello stesso compositore. Pititto e Maestri si sono avventurati in una “impossibile” invenzione-ricostruzione mettendo in scena, nell’ambito del Festival Verdi 2015 di Parma e Busseto, Verdi Re Lear – L’Opera che non c’è attingendo a frammenti sparsi, a presenze virtuali di altre opere dove vive la tragedia della paternità e della follia. La scrittura performativa – che si anima dentro la scatola scenica di velari grigi trasparenti dove, ingrandite, ci “guardano” le immagini reali e virtuali dei volti -, vive della musica del noto compositore elettronico inglese Robin Rimbaud aka Scanner. Questa s’intreccia con gli echi di musiche verdiane creando una densità sonora dove s’innestano arie d’opera eseguite da due soprani e due baritoni in scena, doppi Lear insieme, infine, alla presenza di Rocco Caccavari, (medico ed ex deputato per tre legislature), il cui volto segnato dalla sofferenza dice più di qualsiasi parola.
Nel passaggio nell’altro luogo della rappresentazione domina la visione pittorica-installativa di un gruppo immobile disposto attorno a un trono sul fondo, reso evanescente dai velari trasparenti dove, a più livelli di proiezioni, scorrono le immagini di Lear, di cui udiamo la voce. Sui dettagli del suo corpo, raggomitolato, indugia la telecamera quasi a farne una mappatura dei moti e delle ferite dell’anima. Il re riassume la storia di padri e figli travolti da follia e cecità, in un grumo di affetti traditi. Ad aprirli è l’avanzare dell’attrice sensibile Barbara Voghera, la cui voce e presenza, trascinando poi una corda al guinzaglio, si riveste di quella verità autentica che vede nel fool, nel buffone, l’unico a potersi permettere parole vere. L’altra figura recitante che vaga è Cordelia (Valentina Barbarini) con indosso una pelliccia che deporrà sulle spalle del fool, non più figlia ribelle ma espressione di grazia.
Ampliandone ulteriormente l’indagine, ecco conferire al Lear shakespeariano, oltre alla follia l’inedita dimensione di madre, che si carica così di dense rifrazioni drammatiche e simbolici affondi di senso, dopo aver cantato “Condotta ell’era in ceppi” del Trovatore, il ricordo tremendo della madre, con parole del Re: “Dov’è che sono stata? Dove sono?…”. In questo poetico e continuo cortocircuito tra i versi del libretto dell’opera e quelli del testo di Shakespeare, si addensano intrusioni visive e musicali dai potenti rimandi. Come le iniziali note elettroniche dell’inno italico di Mameli che non riesce a completarsi, mentre a terra, seminudi, si agitano in plastiche deposizioni i due baritoni – doppi Lear – e Cordelia.
“Verdi Re Lear”, ricerca drammaturgica e imagoturgia, regia Francesco Pititto, installazioni e costumi Maria Federica Maestri, music live Scanner; performer Valentina Barbarini, Barbara Voghera, Giuseppe Barigazzi; cantanti, Chekmareva Ekaterina, Haruka Takahashi, Lorenzo Bonomi, Gaetano Vinciguerra, Andrea Pellegrini, Adriano Gramigni. Produzione Lenz Rifrazioni per il Festival Verdi 2015.
Online https://www.teatroregioparma.it/spettacolo/il-regio-a-casa-tua/ dal 5 giugno 2020.