Ratko Mladic condannato per genocidio

Condannato il generale serbo (soprannominato “il boia”) che ha sulla coscienza 8 mila morti, giustiziati nella valle di Srebrenica nel luglio 1995, e altri crimini efferati. La giustizia internazionale è lenta, ma spesso funziona.
Sebrenica

Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Icty) riunito a L’Aja, in Olanda, ha condannato il generale serbo Ratko Mladic, personalità complessa, capace di «crimini commessi tra i più odiosi, dal genocidio ai crimini contro l’umanità», come ha affermato il giudice Alphons Orie che presiedeva la corte.

Il generale è stato riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità per l’assedio e il bombardamento di Sarajevo, per la politica di pulizia etnica nelle città e villaggi bosniaci, il genocidio per il massacro di Srebrenica del luglio 1995 e per aver preso in ostaggio il personale delle Nazioni Unite allo scopo di prevenire qualsiasi intervento della Nato. Il procuratore Serge Brammertz l’ha ammesso: «Spero che, nonostante le sofferenza delle famiglie, nonostante il fatto che i morti non torneranno più, il fatto di vedere il principale colpevole del genocidio condannato all’ergastolo sia un’importante momento di ricordo». Il condannato ha reagito contro il procuratore, che lo definiva «la personificazione del male», gridando: «Menti, tu sei un bugiardo».

Bosnian Serb military chief Ratko Mladic enters the Yugoslav War Crimes Tribunal in The Hague, Netherlands, Wednesday, Nov. 22, 2017, to hear the verdict in his genocide trial. Mladic's trial is the last major case for the Netherlands-based tribunal for former Yugoslavia, which was set up in 1993 to prosecute those most responsible for the worst carnage in Europe since World War II. (AP Photo/Peter Dejong, Pool)

Il processo, il più importante che riguarda la guerra dei Balcani (1992-1995), riconosce appieno le responsabilità serbe, seppur in un conflitto in cui pochi sono state le parti innocenti: innocente era solo la povera gente, di tutte le etnie presenti sul campo di battaglia. Eppure c’è qualcuno più colpevole degli altri. Più di 5 mila persone debbono ancora essere giudicate. Probabilmente questa condanna esemplare servirà ad accelerare anche gli altri processi e ad allontanare lo spettro dell’impunità. Le 1.750 pagine del dossier presentato dall’accusa raccontano di omicidi, esecuzioni, mine saltate per aria, ruberie e stupri. «Spero che dopo questo, la glorificazione dei criminali di guerra si fermerà», ha detto il procuratore rivolgendosi ai nazionalisti serbi (pochi) che vedono ancora Mladic come un eroe.

Ricordo una visita a Srebrenica, era il 2005, era il decennale, 6 mila salme erano ancora in via di riconoscimento (la prova del Dna era agli inizi), stipate in un’enorme cella frigorifera non lontana dal centro della cittadina. Il cimitero e il mausoleo erano appena stati inaugurati. Quello che più mi colpì fu l’itinerario per arrivare alla cittadina bosniaca, in particolare le case scarnificate, con lo scheletro di cemento armato – in ogni caso precario e artigianale – a cui erano rimasti attaccati a volte penzolanti dei moncherini di muro. Gli altri mattoni erano stati divelti, assieme a tutto ciò che esisteva, e componevano ormai altri muri, magari quelli della casa del vicino. Dell’ex vicino serbo.

La valle di Srebrenica era una lunga serie di case assai simili costruite senza alcun piano regolatore, case da rimesse di immigrati, costruite in economia, poco alla volta e in un caso su due, ancora prive di intonaco. In queste case vivevano – e in parte vivono ancora oggi – famiglie musulmane in prevalenza bosniache, e famiglie ortodosse, quasi tutte serbe. E poi qualche nucleo croato e cattolico. Il sangue colato nel torrente di Srebrenica era di bosniaci musulmani, ma in realtà era quasi esclusivamente sangue misto: la purezza della razza da quelle parti non era e non è che illusione e imbroglio. Più imbroglio che illusione, a dire il vero.

La condanna di Mladic permette di non dimenticare Srebrenica. E per questo va considerata importante. Non dovrebbe essere interpretata solo come una condanna dei serbi, ma una sentenza contro la disumanità della guerra e dei delitti contro l’umanità.

 

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