Rapporti complessi in evoluzione
Convegno alla Farnesina su religioni, culture e diritti umani, nelle loro relazioni. Globalizzazione e senso religioso della vita.
Un confronto sul ruolo delle religioni nel discorso sempre delicato dei diritti umani ha portato in chiara evidenza il fatto che la religione sta rientrando in ambiti – i rapporti internazionali, ma anche quelli fra istituzioni e cittadini su territori limitati e specifici – dai quali, da tempo ormai, pareva essere stata estromessa.
È quanto è emerso nei due giorni di convegno alla Farnesina, dal titolo: Religions, Cultures, Human Rights Complex Relations in Evolution. Si è trattato di una iniziativa congiunta della sezione italiana di Religioni per la Pace, ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) e ministero degli Esteri italiano con l’alto patrocinio del presidente della Repubblica italiana, che ha visto la partecipazione di circa 250 esperti nel settore di intercultura, diritti umani e cooperazione.
Gli interventi – settantasei i relatori provenienti da Asia, Medio Oriente, Americhe ed Europa – sia da parte di rappresentanti delle istituzioni che delle varie fedi (ebrei, cristiani, musulmani, indù, buddhisti e sikhs) hanno chiaramente coniugato le grandi istanze del mondo d’oggi a riferimenti religiosi. La globalizzazione, per esempio, è stata letta in chiave non solo economica e finanziaria, ma soprattutto come elemento decisivo, o comunque, importante nella ricerca del senso religioso. Il multilateralismo internazionale, categoria di ampio respiro che aveva introdotto e, per vari decenni, codificato la cooperazione fra le nazioni sembra ormai inadeguato a rispondere alle istanze odierne dove i flussi demografici, e quindi culturali e religiosi, avvengono al di là degli stati, spesso osservatori inermi e impotenti di fenomeni che si trovano poi a dover gestire con una miriade di problematiche sociali ed amministrative oltre che economiche.
Nel panorama mondiale la religione, o meglio le religioni, sono sempre più protagoniste determinando problemi, che tutti vedono, ma anche offrendo potenziali soluzioni, che, spesso, tendono ad essere sottovalutate o ignorate.
Il dibattito svoltosi serrato e coinvolgente, con la meraviglia di molti, ha introdotto come parametri di riferimento eventi o documenti che non sembravano fino ad ieri avere un ruolo decisivo soprattutto in ambito laico. Ha fatto impressione ascoltare dalla bocca di un politico stagionato quale il sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, il ruolo decisivo di un documento come Nostra Aetate, con il quale il Concilio Vaticano II ha aperto una nuova finestra dal mondo cristiano verso le altre fedi e culture.
L’avvenimento Assisi 1986 e la profezia di Giovanni Paolo II con il cantiere della pace, che ha messo tutti i leader religiosi fianco a fianco, e soprattutto senza nessuno su un piedistallo, è stato spesso citato da rappresentanti delle istituzioni e da uomini di fede come un evento spartiacque nelle prospettive del dialogo interculturale ed interreligioso.
Emerge con una chiarezza sempre più evidente e, oserei dire, impellente lo sforzo concordato di una riformulazione del ruolo della religione all’interno della vita del mondo. È necessario riconoscere che il fatto religioso è ormai uscito dal privato dove il secolarismo laicista occidentale l’aveva confinato. E’ sempre più necessario prenderne coscienza e, al contempo, tenerne conto per una adeguata formulazione di categorie che ne riconoscano il ruolo, quello giusto, nell’ambito pubblico. È necessaria, dunque, un’azione concertata e trasversale che veda uomini di fede e delle amministrazioni istituzionali impegnati a trovare una formula nuova consona ad un mondo che non è più quello del passato e che, anzi, evolve a ritmi incalzanti non solo nell’ambito economico e finanziario – dove, fra l’altro, si vedono le sue crepe più pericolose – ma anche nei fenomeni socio-culturali dove le religioni hanno un ruolo sempre più decisivo.
Il processo è senza dubbio nella sua fase iniziale, ma esiste un consenso unanime: il fattore religioso è tornato di moda e costituisce l’ago della bilancia di equilibri delicati. Fra questi la questione dei diritti umani è senza dubbio prioritaria perché tocca ogni uomo e donna ed ogni comunità, dalla famiglia ai diversi gruppi sociali o linguistici, dalle matrici culturali o religiose alle comunità nazionali o transnazionali. Tutto questo significa identità e, dunque, differenze. Proprio qui – alla conclusione del convegno è stato puntualizzato in modo efficace – sta il diritto che oggi tutti reclamano: quello alla differenza.
Lo aveva detto in termini stimolanti ancora negli anni Novanta il teologo Jacques Dupuis, che proprio parlando di dialogo – la vera motivazione del convegno della Farnesina – lo aveva definito come il «dare all’altro la possibilità di essere altro».. Rispettare l’altro per quello che è e desidera essere, sia come persona che come gruppo, diventa una condizione imprescindibile per la salvaguardia dei diritti ed per una vera interazione politica, sia a livello locale che globale.
D’altra parte, perchè non pensare alla possibilità di una identità universale – ben intesto non globale – che trovi il suo paradigma fondante in quella categoria di fraternità insita nel Dna di ogni uomo e di ogni donna, in quanto membri della famiglia umana, la vera identità comune di tutti? È una sfida che ci vede tutti coinvolti senza differenza di sorta.