Rampelli (FdI), la destra tra atlantismo, transizione ecologica e migrazioni

Fratelli d’Italia è il partito di destra in testa nei sondaggi in vista delle prossime elezioni politiche. Intervista a Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati, sulla politica internazionale e la scelta di un atlantismo da riformare, la questione migratoria e la transizione energetica
Destra manifestazione Fratelli D'Itlaia Foto Michele Nucci/LaPresse

Fratelli D’Italia è il primo partito nel Paese secondo alcuni sondaggi. Un dato importante a poco più di un anno dalle prossime elezioni politiche dove la destra potrà presentarsi come forza di opposizione del governo Draghi, anche se su alcune questioni, come la mozione sulla fornitura di aiuti umanitari e militari all’Ucraina, ha votato in conformità all’esecutivo di larga maggioranza che include Lega e Forza Italia. I due partiti cioè che formano, con quello guidato da Giorgia Meloni, il blocco di centro destra al potere in diverse regioni.

Abbiamo intervistato Fabio Rampelli, attuale vicepresidente della Camera dei deputati, perché rappresenta, nel suo impegno, una continuità storica con la militanza nel Movimento Sociale italiano il cui simbolo compare ancora nello stemma del nuovo partito.

Una formazione politica, il Msi, molto radicata a Roma con una forte componente di destra sociale che sfugge a certe categorie predefinite. È significativo in questo senso ricordare il fatto che nel 1989, assieme al futuro sindaco Gianni Alemanno e altri esponenti del Fronte della Gioventù, Rampelli fu fermato dalla polizia per aver contestato il presidente degli Stati Uniti del tempo, George H. Bush, in visita al cimitero dei militari americani a Nettuno.

La prima domanda riguarda il rapporto tra il nostro Paese e l’Alleanza atlantica guidata dagli Usa con l’attenzione rivolta ovviamente alla guerra in corso in Ucraina.

Come valutate il nostro attuale rapporto con la Nato, ribadito più forte da Draghi, come alleanza militare in procinto di definire il suo nuovo concetto strategico di difesa nella prossima assemblea di giugno che si terrà a Madrid?
La Nato esiste nonostante tutte le antipatie che abbiamo scoperto in questi giorni in una parte minoritaria e chiassosa della società italiana ed europea. L’organizzazione militare sopravvissuta alla caduta del muro di Berlino e quindi vincitrice della “guerra fredda”.

Non c’era una ragione al mondo per cui la Nato potesse sciogliersi con la fine del comunismo. Semmai poteva essere auspicabile, ma agli USA è difficile poterlo chiedere perché non è nelle loro corde, una sua profonda revisione nel senso di trasformarsi in una sorta di grande alleanza internazionale tra tutte le nazioni che condividono i valori della civiltà occidentale, cioè tra tutte le democrazie liberali del pianeta. Intendo tutti quei Paesi che hanno come stella polare la democrazia, le libertà e la devoluzione dei poteri. Con la caduta dell’Unione sovietica gran parte delle nazioni che erano soggette a Mosca hanno fatto richiesta di adesione alla Nato e molte di quelle che non lo hanno fatto, lo stanno richiedendo ora perché hanno paura di ciò che sta capitando in Ucraina. Hanno motivo di credere di trovare una garanzia della loro sicurezza nella protezione assicurata dalla Nato.

Putin ha costruito un sistema statuale dove la libertà non è garantita, come stiamo vedendo in questi giorni in cui è in fase di approvazione una legge che punisce con 15 anni di carcere i giornalisti accusati dal regime di diffondere notizie prive di fondamento. L’abbiamo visto con l’avvelenamento di esponenti critici verso Putin, con la modifica della Costituzione che gli permette di restare presidente della Russia a vita come avviene per un monarca o un sultano. Al momento sono già 22 anni che siede stabile al potere in Russia dove almeno 15 mila persone sono state arrestate perché hanno contestato pacificamente, senza insegne e cartelli e con notevole coraggio la guerra in Ucraina.

Noi come Fratelli d’Italia, sulla scia tradizionale della destra italiana, siamo atlantisti, siamo per la Nato auspicandone una rifondazione adeguata  alla situazione attuale che è dissimile da quella del secondo dopoguerra. Vorrei far notare che la Nato pur non cambiando le regole di ingaggio ha rinnovato la sua modalità d’azione invitando la Russia ad alcuni incontri internazionali come unico Paese non aderente. Ricordo che il primo consiglio aperto della Nato alla Russia fu quello celebrato a Pratica di Mare (vicino Roma) nel 2002 per iniziativa del governo italiano di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi e immortalato nella storica foto che lo ritrae tra George W. Bush e Vladimir Putin.

In che senso si deve intendere la priorità dell’essere “Fratelli d’Itala” nel contesto geopolitico mondiale? In particolare quali sono le vostre proposte di governo delle migrazioni come fenomeno epocale?
Siamo perfettamente consapevoli che l’andamento generale dell’economia globale genera dei flussi migratori, ma non siamo affatto convinti che la risposta della comunità occidentale debba essere quella arrendevole di assecondare questi fenomeni. Semmai crediamo che sia necessario governare questa situazione a livello planetario evitando la concentrazione della ricchezza solo in alcune latitudini geografiche e fare ogni sforzo possibile per andare a creare sviluppo, occupazione e infrastrutture per rendere dignitose le condizioni di vita nei Paesi del terzo mondo.

Il primo diritto da rispettare, come ha detto papa Benedetto XVI, è quello di poter vivere a casa propria e cioè a non emigrare. Il diritto ad emigrare è tale quando non è una coercizione. Ci lascia interdetti constatare che i principali clienti dei trafficanti di uomini siano le persone più ricche e più spregiudicate, quelle che stanno meglio fisicamente e quindi in grado di sopportare le fatiche della traversata del mar Mediterraneo. In prevalenza si tratta di uomini di età compresa tra 15 e 35 anni. In Africa restano le persone più deboli (donne, bambini, anziani e disabili) e dimenticate da tutti verso i quali dobbiamo prestare autentica solidarietà come fanno i missionari cristiani e qualche organizzazione umanitaria laica.

Non si può ritenere una soluzione aprire le porte ad un flusso di persone che paradossalmente stanno meglio dei loro conterranei africani e che quindi si consegnano a trafficanti di uomini e scafisti per attraversare quelle 200 miglia che li separano dall’arrivo sulle coste del Sud Italia, e in parte della Grecia, in attesa di spostarsi invano (per le regole dettate dal Regolamento di Dublino) nelle altre regioni più ricche e benestanti dell’Europa. Se si desse un via libera generalizzato alle migrazioni avremmo milioni di persone in viaggio dal continente africano all’Europa del Nord.

Qual è la vostra proposta per l’Africa?
 Occorre un grande piano Marshall per portare ricchezza ed emancipazione in un continente, quello africano, che è ricco di risorse e materie prime, sottratte da altri soggetti per esercitare un dominio finanziario ed economico del pianeta.  La povertà è indotta dal neoliberismo e neocolonialismo. Interrompere i flussi generati da questa situazione di ingiustizia permetterebbe inoltre di preservare la varietà delle culture presenti nel mondo.

Siamo differenzialisti cioè vogliamo preservare le profonde differenze etniche, culturali, sociali e religiose esistenti tra i popoli che sono una ricchezza da preservare nei confronti di un occidente opulento che porta a omologare in senso materialista e consumista le diverse culture esistenti estraendo profitto da masse di persone sfruttate a poco costo.

Come vorreste declinare la transizione energetica?
C’è un modo per produrre energia in maniera autonoma e autosufficiente che ha costi molto limitati e non necessita di fonti energetiche primarie. Questo modo è il risparmio, è l’efficientamento che interviene sulle reti nazionali ma anche su quelle europee. Abbiamo potuto constare in questi giorni che in tal modo avremmo su scala continentale un risparmio di energia del 30% in Europa. Perché non si fa? Il motivo risiede nel fatto che in tal modo diminuirebbe del corrispondente 30% il fatturato dei grandi player dell’energia (Eni, Enel, Terna, ecc.).

Investire sul risparmio è quindi equiparabile ad avere una fonte di energia autonoma. Bisogna poi investire senz’altro sulle fonti rinnovabili ma bisogna farlo cum grano salis , cioè senza farsi dettare l’agenda dai grandi distributori di energia che hanno bisogno di grandi spazi dove collocare i campi fotovoltaici accanto alle centrali tradizionali di energia . E questa scelta logistica impatta, invece, sul fabbisogno alimentare nazionale. Non possiamo perdere i terreni adibiti a coltivazioni ad uso alimentare per fare spazio alle distese necessarie per il fotovoltaico.

Il fotovoltaico e l’eolico vanno usati, anche con l’accelerazione delle procedure autorizzative, solo e soltanto nelle aree urbanisticamente compromesse e in quelle industriali dismesse. Sui capannoni o sopra i tetti delle abitazioni delle grandi città.

In particolare, quale è la vostra posizione sul ritorno al nucleare civile?
Non siamo favorevoli al nucleare perché sarebbe funzionale al modello di sviluppo neoliberista e neocapitalista che ci proietta non verso la ricerca del benessere ma verso una extra produzione e un extra consumo. Noi invece vorremmo invertire l’ordine degli addendi per dire che non è soltanto il Pil il parametro di benessere e quindi la qualità della vita di una persona, di una famiglia e di un popolo. In questo momento le fonti dell’energia rinnovabili non sono sufficienti a coprire il fabbisogno energetico ed è perciò necessario gestire una fase di vera transizione con l’approvvigionamento di gas e petrolio.

Quest’ultimo è presente in Italia nella regione Basilicata dove con l’Eni estraiamo l’8% del fabbisogno energetico nazionale. Ma altro petrolio viene estratto in Basilicata solo che, in maniera incomprensibile, ne è stata affidata la concessione alla Francia tramite la Total. Una fonte interna da potenziare è, infine, quella idroelettrica che va ottimizzata e se possibile moltiplicata.

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