Il Ramadan in tempo di Covid

Limitazioni per gli spostamenti, i momenti di preghiera e per le cene iftar. In questo modo, però, il senso comunitario del Ramadan sembra perdere valore
(AP Photo/Rahmat Gul)

I musulmani si apprestano a celebrare il loro secondo digiuno di Ramadan in tempo di pandemia e nel momento più sacro della vita di milioni di fedeli di tutto il mondo cresce la preoccupazione per una escalation di contagi e allo stesso tempo l’attenzione alle norme prescritte a livello internazionale e locale per evitare conseguenze serie.

Si sono, infatti, stabilite limitazioni sia per i momenti di preghiera in moschea che per le cosiddette cene iftar, che si celebrano con amici e membri della famiglia per l’interruzione serale del periodo di digiuno. In Indonesia, il Paese musulmano più popoloso del mondo, dove vivono il 13% dei seguaci di questa religione, sono stati vietate tutte le celebrazioni pubbliche per la conclusione del periodo di digiuno, ed inoltre non sarà possibile, per ordine del Presidente, recarsi a casa di amici per celebrare la rottura quotidiana del digiuno.

Molti nel Paese asiatico si sono messi in viaggio nei giorni precedenti per evitare di cadere nella trappola delle restrizioni, ma le misure sono molto strette e i controlli severi. Senza le cene iftar con parenti ed amici, il senso comunitario del Ramadan sembra perdere valore e rischia di essere vissuto in isolamento, caratteristica che poco si addice ad una celebrazione che, oltre alla dimensione personale della rinuncia al cibo e all’acqua durante le ore fra l’alba e il tramonto, porta con sé un senso di comunità molto elevato che fa parte dell’essenza della vita del musulmano.

Ricordo, lo scorso anno, uno dei miei studenti, musulmano algerino raccontava ai suoi compagni di come si sentisse solo a dover celebrare il periodo digiuno lontano dalla sua famiglia e dalla sua comunità e, per di più, in tempo di lockdown stretto. In effetti, per ovviare a questa solitudine si è organizzata una cena iftar online dove tutti gli invitati, alcuni musulmani ed altri cristiani, hanno consumato il loro pasto davanti allo schermo dello zoom dopo che il digiuno era stato rotto secondo la tradizionale preghiera e con il dattero e il bicchiere d’acqua. Durante la cena online, i musulmani presenti, studenti e dottorandi hanno spiegato il senso del digiuno e la sua dimensione sociale. Nonostante fossimo tutti insieme da remoto, il momento ha avuto una forte dimensione comunitaria.

Nel 2020, in Italia erano stati chiusi tutti i luoghi di culto e i sermoni erano stati trasmessi via streaming. Per il Ramadan del 2021, invece, le moschee sono aperte e, dunque, le comunità islamiche non dovranno rinunciare alle cinque preghiere giornaliere. L’unico problema è legato al coprifuoco e per questo si è deciso di anticipare alle 21.30 (anziché alle 22.30/23) l’ultima preghiera serale. Inoltre, per ridurre al minimo i pericoli di contagi, la preghiera si svolge in numero limitato all’interno delle moschee.

Le persone che vi partecipano sono invitate a portare il proprio tappeto propriamente igienizzato, evitando le abluzioni. Si incoraggia di procedere al momento della purificazione che deve precedere la preghiera all’interno della propria abitazione prima di uscire per avviarsi alla moschea. Queste sono solo alcune delle misure prese per evitare che l’epidemia abbia un balzo in avanti e diventi incontrollabile all’interno delle diverse comunità di molti Paesi del mondo.

In questi giorni, qui in Italia, mons. Spreafico, presidente della commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo, ha ricordato ai fedeli dell’islam che, come ha più volte ripetuto papa Francesco, «siamo nella stessa barca e dobbiamo remare insieme nella tempesta di questo tempo». «In modo quasi paradossale, la distanza a cui siamo tenuti, ci ha fatto riscoprire il bisogno della comunità, di essere insieme per rivolgerci all’Onnipotente, ed anche di venire incontro alle numerose richieste di aiuto e sostengo materiale e spirituale».

Il vescovo di Frosinone, riferendosi alla Dichiarazione di Abu Dhabi, firmata nel 2019 da Papa Francesco e dal Grand Imam al-Tayyeb del Cairo, ha anche rivolto ai musulmani presenti sul nostro territorio nazionale l’augurio di vivere ricordando che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra loro».

Inoltre, sottolineando che crescono in Italia e in Europa casi di antisemitismo, islamofobia, razzismo e omofobia, il vescovo a nome della Conferenza Episcopale augura a tutti gli uomini e donne di fede possano «aiutarsi a una maggiore conoscenza reciproca perché attraverso di essa potremo combattere questi fenomeni che purtroppo non aiutano a vivere insieme in pace». A sua volta, riferendosi ai cristiani mons. Spreafico si augura che «l’incontro e la mutua conoscenza siano un impegno che noi come cattolici ci prendiamo nei confronti delle comunità musulmane del nostro paese, come già molti stanno facendo».

 

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