Ramadan: ciò che resta ben oltre le polemiche

Si è concluso il 9 aprile scorso il mese di Ramadan, il nono mese dell'anno islamico. È il mese che ricorda ai musulmani la prima rivelazione del Corano. È un mese di digiuno dall’alba al tramonto (sawm), preghiere comunitarie, attenzione ad evitare ogni cattiva azione, elemosina e lettura del Corano.
Preghiere di Eid al-Fitr a Kathmandu, Nepal. (Foto Ansa, EPA/NARENDRA SHRESTHA)
Preghiere di Eid al-Fitr a Kathmandu, Nepal. (Foto Ansa, EPA/NARENDRA SHRESTHA)

Circa 2 miliardi di persone, il 25% della popolazione mondiale, hanno da poco celebrato Eid-al-Fitr, una delle più grandi feste della religione islamica. È la festa che segna la conclusione del mese sacro di Ramadan, durante il quale i fedeli si astengono da cibo e acqua dall’alba al tramonto e si dedicano alla preghiera, all’autodisciplina e alla meditazione. Secondo la scrittura e la tradizione, si tratta del mese in cui Muhammad, il profeta dell’Islam, ricevette la rivelazione del Corano “come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza” (Sura II, v. 185).

In Italia si stima che i musulmani siano circa 3 milioni, ma probabilmente ramadan e relative celebrazioni sarebbero passate inosservate se non fosse per le polemiche che si sono fatte strada sui giornali e per qualche buona pratica meno pubblicizzata. Abbiamo polemizzato su apertura e chiusura di scuole e università, sui luoghi da concedere ai musulmani per pregare e festeggiare, abbiamo sollevato questioni di ordine burocratico accanto a considerazioni di principio. In una cittadina della provincia di Cremona la dirigente scolastica aveva cercato di sensibilizzare il corpo docente con una circolare contenente linee guida da seguire a tutela dei ragazzi che rispettano il digiuno in occasione del Ramadan. La polvere sollevata ha portato al ritiro della nota. Non sono però mancati i segnali di solidarietà e vicinanza. Dal nord al sud dell’Italia personaggi pubblici e privati hanno dimostrato vicinanza, si è celebrato insieme, cristiani e musulmani, in alcune piazze o in piccole parrocchie. Possiamo permetterci di farlo, siamo a casa nostra, si potrebbe reclamare.

Nei Paesi a maggioranza musulmana il quadro è ben diverso. Per 30 giorni la vita si trasforma. Le moschee sono più frequentate e il canto dei muezzin, che si propaga dai minareti ben 5 volte al giorno, riempie l’atmosfera con una cantilena che, per le anime sensibili, è preghiera. La mattina presto l’aria si impregna di profumi forti per il pasto da consumare prima del sorgere del sole; durante il giorno non si trovano posti di ristoro aperti; la sera, poco prima che suoni la sirena che annuncia il tramonto, una frenesia insolita anima le strade. Tutti cercano di arrivare a casa, sono gli ultimi minuti prima dell’agognato bicchier d’acqua e del dattero che rompono il digiuno.  Poi arriva la festa della fine del digiuno (Eid-al-Fitr) che dura tre giorni: le strade si vestono di colori, non possono mancare vestito e scarpe nuove, si incontrano amici e parenti, le cartoline di auguri brillano in oro e argento.

In molti di questi Paesi, ovviamente, i cristiani sono una esigua minoranza. Minoranza che vive senza dubbio sfide, contraddizioni e spesso discriminazioni, ma che spesso ha ancora il coraggio di mettersi in gioco. In Pakistan è consuetudine che i rappresentanti della chiesa locale siano invitati ad uno dei tanti iftar (cena che rompe il digiuno quotidiano) offerti da funzionari pubblici. Ma quest’anno un evento insolito ha suscitato interesse: il gesto di alcuni rappresentanti di comunità cristiane, indù, sikh, di ismailiti dell’Aga Khan e baha’i che hanno servito insieme l’iftar ai loro fratelli musulmani. Gesto promosso dalla Commissione cattolica per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo dell’arcidiocesi di Karachi. Tema dell’evento: “Uniamo le nostre mani per servire il nostro amato Paese”, per riconoscere i servizi che tutte le fedi hanno svolto per il progresso del Pakistan e rafforzarli.

Sameer Aeli, presidente di Saffar Buddies e membro della comunità musulmana, ha definito questo iftar un evento commovente, che ha mostrato l’unità e la solidarietà tra comunità diverse. E il vicepresidente dell’Assemblea del Sindh (provincia del Pakistan meridionale), Naveed Anthony – presente all’evento – ha sottolineato che questo incontro dimostra che c’è un grande posto nei cuori per gli altri e che ciascuno può dare il proprio contributo per la costruzione delle nostre comunità. Anche l’arcivescovo Benny Mario Travas ha espresso l’importanza di incontrarsi e onorare la nostra fede nell’unico Dio.

La strada del dialogo è decisamente in salita e ad elevata pendenza, segnata da atteggiamenti e gesti costosi e ormai impopolari, quelli di tanti primi passi gratuiti. Ma se del Ramadan restassero questi segni, si nutrirebbe la speranza.

 

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons