Ramadan: ciò che resta ben oltre le polemiche
Circa 2 miliardi di persone, il 25% della popolazione mondiale, hanno da poco celebrato Eid-al-Fitr, una delle più grandi feste della religione islamica. È la festa che segna la conclusione del mese sacro di Ramadan, durante il quale i fedeli si astengono da cibo e acqua dall’alba al tramonto e si dedicano alla preghiera, all’autodisciplina e alla meditazione. Secondo la scrittura e la tradizione, si tratta del mese in cui Muhammad, il profeta dell’Islam, ricevette la rivelazione del Corano “come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza” (Sura II, v. 185).
In Italia si stima che i musulmani siano circa 3 milioni, ma probabilmente ramadan e relative celebrazioni sarebbero passate inosservate se non fosse per le polemiche che si sono fatte strada sui giornali e per qualche buona pratica meno pubblicizzata. Abbiamo polemizzato su apertura e chiusura di scuole e università, sui luoghi da concedere ai musulmani per pregare e festeggiare, abbiamo sollevato questioni di ordine burocratico accanto a considerazioni di principio. In una cittadina della provincia di Cremona la dirigente scolastica aveva cercato di sensibilizzare il corpo docente con una circolare contenente linee guida da seguire a tutela dei ragazzi che rispettano il digiuno in occasione del Ramadan. La polvere sollevata ha portato al ritiro della nota. Non sono però mancati i segnali di solidarietà e vicinanza. Dal nord al sud dell’Italia personaggi pubblici e privati hanno dimostrato vicinanza, si è celebrato insieme, cristiani e musulmani, in alcune piazze o in piccole parrocchie. Possiamo permetterci di farlo, siamo a casa nostra, si potrebbe reclamare.
Nei Paesi a maggioranza musulmana il quadro è ben diverso. Per 30 giorni la vita si trasforma. Le moschee sono più frequentate e il canto dei muezzin, che si propaga dai minareti ben 5 volte al giorno, riempie l’atmosfera con una cantilena che, per le anime sensibili, è preghiera. La mattina presto l’aria si impregna di profumi forti per il pasto da consumare prima del sorgere del sole; durante il giorno non si trovano posti di ristoro aperti; la sera, poco prima che suoni la sirena che annuncia il tramonto, una frenesia insolita anima le strade. Tutti cercano di arrivare a casa, sono gli ultimi minuti prima dell’agognato bicchier d’acqua e del dattero che rompono il digiuno. Poi arriva la festa della fine del digiuno (Eid-al-Fitr) che dura tre giorni: le strade si vestono di colori, non possono mancare vestito e scarpe nuove, si incontrano amici e parenti, le cartoline di auguri brillano in oro e argento.
In molti di questi Paesi, ovviamente, i cristiani sono una esigua minoranza. Minoranza che vive senza dubbio sfide, contraddizioni e spesso discriminazioni, ma che spesso ha ancora il coraggio di mettersi in gioco. In Pakistan è consuetudine che i rappresentanti della chiesa locale siano invitati ad uno dei tanti iftar (cena che rompe il digiuno quotidiano) offerti da funzionari pubblici. Ma quest’anno un evento insolito ha suscitato interesse: il gesto di alcuni rappresentanti di comunità cristiane, indù, sikh, di ismailiti dell’Aga Khan e baha’i che hanno servito insieme l’iftar ai loro fratelli musulmani. Gesto promosso dalla Commissione cattolica per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo dell’arcidiocesi di Karachi. Tema dell’evento: “Uniamo le nostre mani per servire il nostro amato Paese”, per riconoscere i servizi che tutte le fedi hanno svolto per il progresso del Pakistan e rafforzarli.
Sameer Aeli, presidente di Saffar Buddies e membro della comunità musulmana, ha definito questo iftar un evento commovente, che ha mostrato l’unità e la solidarietà tra comunità diverse. E il vicepresidente dell’Assemblea del Sindh (provincia del Pakistan meridionale), Naveed Anthony – presente all’evento – ha sottolineato che questo incontro dimostra che c’è un grande posto nei cuori per gli altri e che ciascuno può dare il proprio contributo per la costruzione delle nostre comunità. Anche l’arcivescovo Benny Mario Travas ha espresso l’importanza di incontrarsi e onorare la nostra fede nell’unico Dio.
La strada del dialogo è decisamente in salita e ad elevata pendenza, segnata da atteggiamenti e gesti costosi e ormai impopolari, quelli di tanti primi passi gratuiti. Ma se del Ramadan restassero questi segni, si nutrirebbe la speranza.
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