Raiser: vincere la violenza

“Noi ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo contrastano con l’autentico spirito religioso e, nel condannare ogni ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, ci impegniamo a fare quanto è possibile per sradicare le cause del terrorismo”. Così si era espresso ad Assisi il pastore Konrad Raiser, segretario generale del Cec, nell’impegno finale che aveva coinvolto i rappresentanti delle religioni presenti. Parole tanto più significative perché venivano dal massimo rappresentante di un’istituzione ecumenica profondamente attenta ai problemi della convivenza civile e della pace. All’indomani della grande manifestazione voluta da Giovanni Paolo II, lo abbiamo intervistato dalla sede del Cec a Ginevra. Quale bilancio dopo Assisi? “È stato un incontro dal valore simbolico indiscutibile, molto importante. Lo “spirito di Assisi” è stato comunicato con chiarezza ed efficacia, e l’impegno letto solennemente al termine della giornata è stato formulato con molta attenzione, anche se naturalmente si sarebbero potute aggiungere molte altre affermazioni. Non ho esitato un solo momento ad associarmi all’iniziativa, in quanto segretario generale del Cec”. Incontri come questo possono aiutare alla risoluzione di conflitti? “È una domanda che mi viene posta frequentemente. Bisogna tuttavia sottolineare come le riunioni di preghiera non siano convocate per ottenere dei risultati politici diretti. In effetti i conflitti attuali sono soprattutto politici, e quindi bisogna rispondere ad essi con mezzi politici. La preghiera è nello stesso tempo indispensabile, ne sono convinto comecredente; la preghiera ha una sua efficacia, anche se talvolta non è facile verificare i risultati direttamente nella vita politica di un atto di preghiera. Così l’impatto immediato di Assisi 2002 sui conflitti attuali è ovviamente limitata. Ma abbiamo assistito a numerosi incontri tra capi religiosi dopo l’11 settembre; incontri che hanno creato, in primo luogo questo di Assisi, una atmosfera di apertura, fiducia e impegno per un dialogo continuo tra le grandi famiglie religiose. Ciò è certamente qualcosa di molto positivo”. Da più parti si vuole convincere che la religione è causa di tante guerre… “Credo che sia un’interpretazione un po’ distorta della realtà. Certamente ci sono dei conflitti politici dove i sentimenti religiosi sono usati per mobilitare le gente in favore di una determinata posizione politica. Talvolta c’è pure confusione tra identità etnica, religiosa e nazionale: una miscela assai esplosiva. Ma nessun conflitto, a mia conoscenza, ha le differenze religiose come causa. Talvolta si ha l’impressione che i conflitti scoppino per motivi religiosi, come in Nigeria o in Indonesia. Ma, se si guarda più da vicino, ci si può convincere che sono piuttosto dei conflitti di potere, di accesso alle risorse naturali… Spesso le cause non appaiono molto chiare”. Qual è il contributo del Cec alla pace? “Il Cec, come si sa, è una comunione, una comunità di chiese locali. Le sue possibilità di azione sono perciò pressappoco identiche all’impegno delle chiese che ne fanno parte: il Cec può fare molto poco separatamente da esse. Se guardiamo ai conflitti attualmente in corso – ad esempio in Nigeria, in Indonesia o in Sudan -, posso dire che l’azione del Cec consiste in primo luogo nel rafforzare la posizione, la voce, le possibilità d’azione di queste chiese. Tutto ciò in forme diverse: a nome loro si possono ad esempio avvicinare le istanze politiche, se esse non lo possono fare direttamente; si può portare le loro preoccupazioni all’attenzione delle Nazioni unite; ancora, spesso inviamo delle delegazioni di solidarietà; e addirittura, se viene richiesto dalle parti in conflitto, possiamo offrire una vera mediazione. In ogni caso, tutto il lavoro del Cec punta a ristabilire dei legami di fiducia e di dialogo tra le parti, per rafforzare la volontà di trovare delle soluzione pacifiche ai conflitti”. L’organizzazione di cui è segretario generale sta sostenendo un grande progetto chiamato non a caso: “Vincere la violenza”… “Il Cec ha effettivamente proclamato il periodo 2001-2010 come il decennio del “vincere la violenza”. Lo ha fatto per sostenere le singole chiese nel loro impegno, nelle situazioni concrete in cui si trovano ad operare, per combattere la violenza, per non accettarne l’aumento. Bisogna far uso del potere di tali chiese, almeno a livello spirituale o simbolico, e così influenzare la mentalità e l’opinione pubblica nel resistere a questa aumento della violenza”. Il dialogo tra religioni di cosa si nutre? “In primo luogo di un atteggiamento di rispetto tra persone che basano la propria vita su un impegno spirituale. Ci si riconosce mutuamente come fedeli che hanno accettato un impegno, un obbligo spirituale: quello di porsi di fronte alla realtà di Dio. Questo può esprimersi evidentemente in modi molto diversi; ma non si può negare l’esistenza di una spiritualità molto profonda nelle diverse religioni. In secondo luogo il dialogo si nutre del riconoscimento spirituale di un’umanità condivisa, anche se le tradizioni antropologiche possono essere diverse. Tuttavia non si può non riconoscere come in tutte le religioni ci sia un senso di vocazione al bene comune della comunità umana, che porta ad agire come una forza di pace, di giustizia, di rispetto della dignità umana… Questi mi sembrano i due fondamenti essenziali per permettere ai rappresentanti di diverse comunità religiose di incontrarsi. Ciò conferisce al dialogo una base comune sufficiente per continuare nell’impegno per una cooperazione concreta”. Dopo Assisi? “La comunità di Sant’Egidio ha continuato la pratica di queste riunioni. In queste occasioni il Cec è stato sempre rappresentato. È questo un ottimo modo di continuare lo “spirito di Assisi”. Ma non va dimenticato come tutte le chiese abbiano cominciato a impegnarsi concretamente in azioni di dialogo interreligioso nei loro rispettivi contesti. Si contano sforzi simili in Africa, in Medio Oriente, in Europa… Sono modi diversi, direi complementari, di continuare questo spirito”.

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