Ragusa: episodio di razzismo in ospedale
«Porti malattie, qui non puoi entrare»: una giovane donna eritrea aggredita da alcune mamme nel reparto di neonatologia dell’Ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa Ibla.
Fara, questo il suo nome, era sbarcata il 24 novembre a Pozzallo. Aveva partorito in Libia appena quindici giorni prima: la piccola Mecat era figlia di una violenza subita quando si trovava in Libia, dove aveva soggiornato a lungo prima di essere imbarcata.
Fara è una delle tante donne che oggi vivono sulla loro pelle il dramma di un’emigrazione che deve fare i conti con i respingimenti e con gli accordi internazionali dell’Italia che aggravano le condizioni di chi è costretto a fuggire dal proprio paese ma, in Libia, viene “trattenuto” nei lager e diventa, di fatto, vittima una seconda volta: di violenze, di soprusi, di privazione della libertà, spesso anche di morte.
Fara e la sua piccola avevano affrontato il viaggio subito dopo il parto. Ma tre giorni in mare erano stati difficilissimi per la piccola Quando è arrivata al porto di Pozzallo, la piccola era stata subito trasportata in ospedale. Le sue condizioni erano gravi, ma oggi appaiono leggermente migliorate. Fara, accompagnata da personale dell’hotspot di Pozzallo, si era recata in ospedale per trovare la sua piccola.
Qui si è verificato il brutto episodio: improvviso, inatteso, doloroso. Per tutti. I medici ed i sanitari hanno cercato di tranquillizzare le donne, ma nel clima di tensione che si è creato è stato necessario anche l’intervento dei carabinieri. Poi è arrivata anche la Digos.
A fatica, nel reparto è ritornata la calma. Il direttore sanitario, Giuseppe Cappello, è addolorato. «La giovane aveva con se un certificato del medico dell’hotspot – ha detto Cappello –. Le sono state fatte indossare una mascherina e dei guanti per le precauzioni necessarie in un reparto di Terapia intensiva neonatale, come facciamo con tutte. Questo ha fatto scattare la protesta ingiustificata». La bimba e la sua mamma, nel frattempo, sono state condotte in una stanza del reparto di Ostetricia in modo che potesse avere la piccola accanto. Il sindaco di Ragusa, Peppe Cassì, ha commentato: «È un episodio che ci sorprende e ci amareggia, perché Ragusa non è questo. Sto cercando di capire meglio quello che è successo». Ha fatto sapere che, appena possibile, accoglierà Fara a Palazzo di città. «Ragusa è una città accogliente» ha detto il primo cittadino. Anche il sindaco di Pozzallo si è recato a trovare Fara. Le ha portato dei fiori ed un regalo per la sua bimba. Un incontro concluso con un abbraccio.
Toni forti anche nelle parole del vescovo di Ragusa, Carmelo Cuttitta. Cuttitta ha presieduto, il 28 novembre sera, la concelebrazione per l’anniversario del suo ingresso in Diocesi. Il presule ha chiesto scusa a nome della comunità cristiana. «Ad agire sono stati dei ragusani – ha detto Cuttitta – sicuramente battezzati che magari si professano cristiani. E allora spetta al vescovo chiedere scusa perché l’umanità non ha colore, perché siamo tutti figli dello stesso Padre, perché non possiamo professarci cristiani e poi assumere comportamenti che negano il Vangelo». Cuttitta ha poi proseguito offrendo ai fedeli presenti nella Cattedrale di Ragusa anche una riflessione sul momento storico attuale. «Viviamo in un clima di crescente insofferenza, alimentato – ha aggiunto – anche da una politica che mira a dividere, a creare allarmi e genera paura e su questa paura e su un linguaggio e su atteggiamenti spregiudicati fonda la sua capacità di accrescere i consensi. Quanto accaduto è figlio di questo clima che vuol negare valori come l’accoglienza e la solidarietà e vuol privare a una consistente parte di umanità anche il diritto al futuro e alla speranza. Questa donna, mamma di un bambino appena nato, si era avvicinata ed è stata allontanata in malo modo. Non possiamo rimanere inerti quando ne va di mezzo la vita degli altri e i disagi degli altri». Poi l’esortazione, l’invito alla comunità cristiana. «sbracciamoci e lavoriamo perché in questo mondo siamo tutti fratelli e sorelle e tutti veniamo dallo stesso Dio».