Raggiunto l’accordo su Mindanao
Il 15 ottobre, a Manila, verrà firmato l’atto ufficiale che sigla l’accordo per una soluzione del problema di Mindanao, la zona Sud dell’arcipelago filippino, abitata da una popolazione cristiana e musulmana e dagli indigeni Lumad. Questa parte dell’Asia da circa quarant’anni vive in uno stato di guerra civile che ha fatto più di centoventimila vittime.
Già da alcuni giorni erano trapelate indiscrezioni sui colloqui in corso nella capitale della Malesia, Kuala Lampur, fra il governo del presidente Aquino ed il Moro Islamic Liberation Front (Milf) – un movimento che conta circa 12 mila militanti, che dal 1978 combatte per una maggiore autonomia della parte meridionale del Paese – per arrivare a un’intesa sulla spinosa questione di Mindanao. «Vi sono grandi aspettative sui risultati del meeting. Il clima è di grande fiducia» aveva dichiarato p. Angel Calvo, un sacerdote clarettiano che da quarant'anni lavora nelle Filippine. In generale, l'ottimismo traspariva in tutti i media filippini.
I colloqui di pace, infatti, erano stati aperti da dichiarazioni ufficiali incoraggianti. Marvic Leonen, rappresentante del governo di Manila, aveva esordito affermando che «Milf e governo hanno stilato una serie di punti chiave che daranno il via nei prossimi mesi a un vero processo di pace per la regione. […] è giunto il momento di mostrare alla popolazione il nostro impegno e concretizzare le promesse fatte in questi anni». Da parte sua, Mohagher Iqbal, rappresentante e portavoce del Milf aveva espresso un «cauto ottimismo», sottolineando che «i negoziati per l'inizio di un vero processo di pace sono in dirittura d'arrivo. […] Non possiamo permetterci di sbagliare – ha aggiunto il leader islamico – in caso di fallimento i partiti e i movimenti armati interessati al mantenimento del potere e non alla pace, prenderanno il sopravvento».
La svolta nei rapporti fra governo e Milf si era già delineata nella scorsa primavera quando i delegati del Milf avevano accettato un nuovo tipo di autonomia per la regione a maggioranza musulmana, invece della completa autonomia da Manila, come era nelle loro richieste da sempre. Nel corso dei negoziati un aspetto di vitale importanza è stato lo sforzo di una costante verifica della costituzionalità di ogni richiesta. Già nel 2008, infatti, il precedente governo Arroyo era giunto ad un passo da un accordo definitivo con i ribelli islamici, ma la nuova entità autonoma di Mindanao era stata giudicata incostituzionale dalla Corte suprema. Le conseguenze erano state violente, con oltre 100 morti e 175mila sfollati.
L’accordo raggiunto nei giorni scorsi – ne ha dato notizia alla televisione lo stesso presidente Aquino – è un protocollo di tredici pagine che prevede la creazione di una nuova regione autonoma a maggioranza musulmana chiamata "Bangsamoro". L’amministrazione sostituirà quella attuale, creata nel 1989, che Aquino non ha esitato a definire «un esperimento fallito». Lo stesso presidente non ha nascosto che l’accordo non significa la soluzione del problema.
Infatti, pur pronto a riconoscere che ora si «apre la strada a una pace duratura a Mindanao e […] che le mani che un tempo tenevano fucili saranno usate per coltivare la terra ed aprire le porte ad altre possibilità», ha precisato che «ci sono ancora dettagli che entrambe le parti devono definire».
La nuova unità amministrativa sarà istituita nel territorio già esistente, che include cinque province, due metropoli, 113 cittadine e 2.470 villaggi per un totale di oltre 4 milioni di abitanti. Tuttavia, restano molti nodi da sciogliere per evitare un secondo fallimento con conseguenze ancora più gravi. Infatti, il Milf nel tempo si è diviso in diversi fronti più o meno estremisti. Per esempio, il gruppo guidato da Ameril Umbra Kato è ancora contrario alle negoziazioni col governo, e Abu Sayyaf resta, sembra, legato ad Al Qaeda. Lo stesso portavoce del Milf, Mohagher Iqbal, pur assicurando che si formerà un partito politico in grado di partecipare a elezioni democratiche per avere la possibilità di governare la regione autonoma, ha già annunciato che le armi non saranno deposte fino alla firma definitiva dell'accordo.
Mons. Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato, ha definito l’accordo come una pietra miliare sulla strada della pace, lunga e difficile. La Chiesa cattolica stessa non nasconde le molte criticità della soluzione, come traspare dalla dichiarazione di un altro vescovo, mons. Martin Jumoad di Basilan. «Abbiamo sofferto molto ed ogni piccolo passo verso la pace è un segno di speranza di pace, ma la gente deve essere guidata nello sforzo di realizzare l’accordo».
Fonti: AsiaNews, Ucanews