I ragazzi e la ricerca dell’identità
La costruzione dell’identità è un processo cruciale nell’età evolutiva. Il genitore ha un ruolo importante nell’accompagnare il figlio in questa scoperta, promuovendo gradualmente la sua autonomia verso la maturità emotiva ed affettiva.
Il percorso che porta alla costruzione della propria identità inizia nell’infanzia, quando il bambino si accorge gradualmente di essere capace di agire sulla realtà, di avere un corpo, dei pensieri propri, e di provare delle emozioni. Inizia così a costruire una rappresentazione di sé, cioè un’immagine di se stesso. Questa immagine non è solo mentale, è anche connotata di emozioni e di affetti, ha dunque diverse dimensioni, tra loro intimamente connesse. Nel costruire questa immagine di sé, un ruolo centrale è giocato dalle esperienze relazionali. L’immagine di me che l’altro mi rimanda nella relazione contribuisce a plasmare la mia identità. Io vedo me stesso e le mie caratteristiche attraverso lo sguardo dell’altro.
Il bambino inizialmente descrive se stesso sulla base di caratteristiche fisiche (ho gli occhi verdi), poi sulla base dei propri gusti (mi piace giocare a calcio) o inclinazioni (sono brava in matematica). Gradualmente diventa capace di inglobare definizioni meno concrete come ad esempio sono timido oppure sono socievole.
L’identità tuttavia non è solo un insieme di caratteristiche che definiscono il sé. La domanda “Chi sono io?” non vuol dire semplicemente “Che cosa mi definisce?”. Possiamo, infatti, adottare una prospettiva più ampia, che abbraccia altre domande, come ad esempio: “Cosa è importante per me?” e “Per cosa voglio spendere la mia vita?”.
In questo modo l’identità smette di essere un’immagine statica del sé, rigidamente definita da un insieme di tratti fisici e caratteriali, ma può essere vissuta come un processo dinamico che dà spazio alla creatività e alla crescita. Come genitori possiamo aiutare i nostri figli ad adottare questa prospettiva che li porta gradualmente a scoprire chi sono e dove vogliono andare senza rimanere ingabbiati nelle definizioni di sé. Ecco cosa possiamo fare:
Non utilizzare etichette rigide riferite alla persona Se notiamo un comportamento da correggere, facciamo attenzione a non utilizzare espressioni come: «Sei pasticciona», «Sei troppo lento», «Sei sempre distratto». Rischiamo infatti che il ragazzo si identifichi con queste caratteristiche e perda fiducia nella possibilità di cambiamento. Questo vale anche per le etichette positive «la più brava della classe» oppure «un campione di basket» Anche in questo caso, infatti, può esserci un attaccamento eccessivo a quella caratteristica, al punto da farla coincidere con la propria immagine di sé o con il proprio valore. Così un fallimento può diventare una minaccia alla propria identità. È dunque importante non ingabbiare i nostri figli dentro etichette rigide, far sentire loro che non servono caratteristiche o titoli particolari per essere visti e amati.
Aiutarli a riconoscere e accettare le proprie fragilità Non tutte le parti di noi ci piacciono. Ad esempio ci sono degli aspetti della nostra personalità che non riusciamo ad accettare, o alcune emozioni negative che vorremmo eliminare a tutti i costi. Essere disposti ad accogliere ed ascoltare i propri figli anche con le loro fragilità, da loro la possibilità di fidarsi di noi e di aprirsi con sincerità, senza la paura di essere giudicati. Li aiuta inoltre a non rimanere attaccati ad un sé ideale e irraggiungibile, e ad amare il sé reale, che non è e non può mai essere perfetto. Un’identità matura è infatti capace di integrare tutti gli aspetti di sé, non solo quelli positivi.
Incoraggiarli a scoprire cosa è veramente importante Per rispondere alla domanda “chi sono?” è importante prima di tutto capire chi voglio essere e quale traccia voglio lasciare nel mondo. Per i ragazzi questo è un processo aperto, che li mette continuamente a contatto con dubbi e incertezze, ma anche con l’entusiasmo di scoprire dove vogliono convogliare le loro energie. Un genitore è spesso tentato di dare lui la direzione, di dire al figlio «dovresti fare così». Tuttavia assegnare o suggerire gli obiettivi da raggiungere non aiuta il ragazzo a sviluppare la propria autonomia. Egli ha bisogno di essere incoraggiato a guardarsi dentro e a capire che tipo di persona vuole essere, formando così un proprio stile di comportamento e di relazione, che è unico.
Un genitore non può mai sostituirsi al figlio nella sua ricerca dell’identità, può guardare con fiducia ai suoi tentativi e alle sue esplorazioni, tollerando questa condizione di «lavori in corso» e apprezzando ogni piccolo passo in avanti. Può incoraggiarlo a rialzarsi dopo ogni caduta e a connettersi con la sua bussola interiore prima di ogni passo. Può infine mettere in luce, con la propria vita, l’importanza di agire guidati dai propri valori, più che dal bisogno di essere approvati dagli altri. Il nostro modo di muoverci nel mondo, infatti, dice chi siamo e dove vogliamo andare, più di ogni definizione.