Ragazzi americani
Fa bene notare come il cinema americano periodicamente indaghi il cuore profondo degli States. Lì dove si annidano esasperazioni che portano, ad esempio, alle ripetute stragi di studenti. Disagi, frustrazioni, desideri di rivincita e difficoltà familiari. Ne è un esempio Lady Bird, opera prima dell’attrice Greta Gerwig, candidato a cinque statuette degli Oscar. È una storia di formazione adolescenziale, dai risvolti autobiografici. Anno 2002: Christine (un’ottima Saoirse Ronan, anche lei candidata agli Oscar) ha 17 anni, vive a Sacramento, frequenta una scuola cattolica, ha un padre depresso ed un madre iperprotettiva. Il rapporto madre-figlia è conflittuale: la madre la segue in tutto, anche nei vestiti , nel cibo, nella scuola e la ragazza ovviamente ne è disturbata. Ribelle a tutto e a tutti, come le adolescenti, si dà un nome d’arte “Lady Bird”, si perde in amoretti, chiacchiere, corsi di teatro e sogna di andarsene a studiare in un college a New York, pur non essendo a scuola una cima.
L’interesse del film non sta tuttavia solo nell’analisi della ribellione adolescenziale quanto nel fatto che il racconto diventa uno sguardo allargato e senza delicatezze sull’intera società della provincia americana attuale e su un disagio giovanile che può esser capace di reazioni inattese. Certo, Lady Bird andrà a New York e cercherà di ritrovare un rapporto con la madre, ma non sarà questa a quanto pare la felicità. La ragazza dovrà imparare a sue spese quanto i sogni fatichino a diventare realtà. Sarà capace di questo?
La domanda non è retorica e il film ben girato e interpretato (ma non è un capolavoro) la lascia sospesa. Invece, Dark Night di Tim Sutton scende a fondo nella questione della frustrazione giovanile ed analizza cosa stia sotto a quello che avvenne il 20 luglio 2012 in Colorado: un ragazzo di 24 anni, James Holmes, mascherato, uccise dodici persone e ne ferì settanta durante la proiezione del film Il cavaliere oscuro. Si è identificato con il personaggio di Joker nel film? Probabile. Ma cosa lo ha portato a questo gesto?.
La regia non mostra il massacro, ma le giornate di alcuni giovani nella provincia americana. Giorni desolati che vivono in tanti: una donna succube dei selphie, due ragazze che lavorano in un magazzino, un ragazzo che vaga per il paese con un fucile in spalla, il futuro killer senza amore…Insomma, un vuoto esistenziale profondo che la macchina da presa scava poco a poco evitando di gonfiare le storie, anzi preferendo un approccio minimalistico alle vicende. L’idea della fuga da un mondo asettico e senza senso prende fuoco lentamente, anche nel killer, ma il progetto del massacro può essere di chiunque, e avvenire per noia, disillusione, stanchezza e mancanza di scopo nella vita.
Può venire considerato dai giovani un modo per sentirsi vivi, un episodio come tanti, come nei film, in una società narcotizzata dal consumo. Nessun atto d’accusa tuttavia da parte del regista, nessun grido retorico, solo un mostrare il male di vivere troppo spesso nascosto dalla filmografia ufficiale. Certo, questo film non farà il giro del mondo perchè dà fastidio la sua lente d’ingrandimento, peraltro sobria, sulla realtà. Ma fa bene vederlo, perchè il fenomeno della distruzione – anche di sè stessi – pur di sentirsi qualcuno non è solo dei giovani americani ma della società globalizzata. E questo fa paura.