Il “Racconto d’inverno” del Teatro dell’Elfo
Sfugge a ogni classificazione di genere. Trascende convenzioni drammaturgiche e stili nel suo passare dalla tragedia al dramma romanzesco, dalla lirica pastorale alla commedia grottesca a lieto fine. Il Racconto d’inverno è una delle ultime opere di William Shakespeare, che si consuma in un’atmosfera dominata da danze pastorali e crudeli processi a corte, morti improvvise e resurrezioni, mari in tempesta e cieli cristallini, gelosie e ravvedimenti improvvisi.
Secondo la definizione degli studiosi si tratta di una tragicommedia o di una commedia romanzesca, di quelle che fanno corona a un indiscusso capolavoro come La tempesta e che rispecchiano un momento di già matura, malinconica riflessione sull’esistenza. Infatti, nel trascorrere dei 5 atti si passa dalle atmosfere di grande tensione emotiva della prima parte, attraverso un quarto atto intriso di comicità solare, verso un finale che riconcilia con la vita, carico di lirica dolcezza.
Arduo riassumere la complessa trama di questo “racconto triste”, il cui titolo nasce dalla battuta del giovane principe Mamillio: «Ma in inverno è meglio raccontare storie tristi, io ne so una di elfi e di folletti». Ambientato in luoghi dal sapore esotico con una trama ricca di colpi di scena, tra viaggi avventurosi, tempeste, ritrovamenti insperati, il testo narra le vicende di Leonte, il re di Sicilia, che, posseduto da una gelosia cieca e distruttiva, annienta tutto ciò che gli è più caro: la moglie Ermione, i figli Mamilio e Perdìta e l’amicizia di una vita con Polissene, re di Boemia.
Tra i più recenti allestimenti ricordiamo quello firmato dal regista Andrea Baracco, nel 2019, e composto da un folto cast della Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria, che non si esauriva in un’unica forma, ma si presentava come una sorta di mostro a tante teste e dalle molte lingue, pieno di spazi bianchi e salti temporali; e quello di Francesco Saponaro, nel 2017, sostenuto dall’adattamento di Pau Miró ed Enrico Ianniello, che ambientava il racconto in una fulgida ‘Sicilia dei principi’, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del ‘900, immersa in uno spazio metafisico e immaginando un Sud arcaico, innocente e sacro, isolato e sospeso tra riti agresti e feste primaverili. I registi Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, autori dell’allestimento del Teatro dell’Elfo, realizzato nel 2010 (teatro che ha avviato la pubblicazione sulla piattaforma Vimeo alcuni video dei suoi spettacoli, un palinsesto che prevede tre titoli ogni settimana), ne parlano come di un «Otello senza Iago, dove la gelosia è trattata come un fenomeno puro che, né più né meno dell’innamoramento, può essere repentino e immotivato e non ha bisogno di sobillatori». Sedici anni dopo, il quarto atto ci introduce in un mondo bucolico, per raccontare l’amore clandestino tra Perdìta (incredibilmente sopravvissuta alla furia del padre) e Florizel, figlio di Polissene. Da qui in poi è un susseguirsi di situazioni comiche ed espedienti drammaturgici che portano dritti verso un finale sorprendente, dove alle classiche agnizioni e riconoscimenti, si aggiunge un’insperata “resurrezione”. Come in un “Romeo e Giulietta a lieto fine”, qui sono i figli lo strumento di riconciliazione dei padri e i protagonisti di un percorso di trasformazione «che attraversa le generazioni e il ciclo del tempo».
Lo spettacolo è online accedendo alla piattaforma dal sito del teatro: www.elfo.org
“Racconto d’inverno” di William Shakespeare, regia Ferdinando Bruni ed Elio de Capitani, anche interpreti insieme a Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Luca Toracca, Gabriele Calindri, Federico Vanni, Nicola Stravalaci, Umberto Petranca e i giovani Camilla Semino Favro e Giuseppe Amato. Anno di produzione 2010.