Raccontare il referendum

Siamo ancora, anche se ormai verso la fine, nell'anno solare 2016, e settant'anni fa l'Italia aveva di fronte un referendum ancora più importante di quello che ci aspetta. Che pure di importanza ne ha, visto che si andranno a toccare, se vincerà il Sì, i meccanismi più profondi della nostra democrazia. Il 2 Giugno del '46 scegliemmo la Repubblica, e da allora viviamo beccandoci puntualmente qualche malanno di stagione. Una nazione senza antivirus, potremmo definire l'Italia, capace di debilitarsi facilmente e di perdere puntualmente parte del suo enorme potenziale.
Il cinema italiano ce lo ricorda spesso; qualcuno dice per la cattiva abitudine che abbiamo di gettarci fango addosso; qualcun altro pensa che sia un bene che lo faccia, che sia corretto illuminare le infezioni, denunciare gli errori per non ripeterli e guarire, fosse anche solo per tenere viva la memoria. L'esempio più recente arriva da un film ancora nelle sale: In guerra per amore di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Un film favolistico, ma capace di puntare il faro su un argomento poco dibattuto. È ambientato quasi tutto nel '43, durante lo sbarco americano in Sicilia, e racconta la conseguente e drammatica “evoluzione” della mafia. Il finale, però, forse il momento più potente del film, è ambientato durante i primi vagiti di democrazia. Il mafioso Don Calò, finita la guerra, è diventato sindaco del paesino e dal palco paragona la neonata Repubblica a un bambino da far crescere, sostenere, allevare e proteggere. Bisogna evitare che finisca nei guai, che si ferisca, e indica il pericolo, il nemico da combattere: «Questi russi, questi comunisti – spiega alla piazza – non ci piacciono mica!».
In un montaggio virtuale potremmo collegare il monologo finale del sindaco a una sequenza cento volte più drammatica, però diretta conseguenza delle sue parole. Il frammento fa parte del film Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, ed è quello dell'eccidio di Portella della Ginestra: 1 maggio 1947, 11 persone uccise e molte di più ferite da colpi di arma da fuoco. Chi erano quei morti e chi fu a sparargli addosso? Erano contadini che si godevano la festa dei lavoratori e la vittoria del “Blocco del popolo” (sostenuto dal Pci) alle recenti elezioni regionali siciliane. È certo che a sparare furono gli uomini di Giuliano, ma è molto probabile che ad armarli furono quelli che non volevano i comunisti e nemmeno che quei braccianti sfruttati vivessero una stagione di cambiamento. Eravamo appena nel '47, la Repubblica non aveva nemmeno un anno di vita, e già si parlò di strategia della tensione, di strage e depistaggi. L'Italia democratica era nata nei guai e le speranze di chi nel referendum aveva visto l'inizio di un cammino entusiasmante sarebbero rimaste deluse.
Il cinema italiano ha parlato spesso di loro, con film quasi sempre spalmati lungo diversi decenni di storia italiana. Uno è il Silvio Magnozzi (Alberto Sordi) di Una vita difficile di Dino Risi. Non un eroe né un vincente, ma un uomo fragile, con la bella qualità, però, della coerenza con le proprie idee. Onesto, tra tanti che lo sono sempre meno, si fa fotografo di un'Italia sempre più diversa da come se l’era immaginata da partigiano e poi partecipando con trasporto agli infuocati giorni del passaggio Monarchia/Repubblica. Alla lunga è rimasto solo, è crollato per stanchezza e si è piegato al potere, ma poi ha recuperato dignità tanto da non doversi vergognare di se stesso. La sua amarezza cresce capendo di non potersi integrare in una società dove il denaro e il potere sono gli unici idoli da inseguire. Una vita difficile racconta l'Italia dal '43 al '61 e tira un primo bilancio, deludente, sull’andamento delle cose.
Anche Marco, un architetto romano interpretato da Nino Manfredi, e sua moglie Paola interpretata da Leslie Caron, nel '46 sognarono un grande Paese e negli anni '60 si accorsero che nulla era cambiato se non loro, a rischio omologazione rispetto a ciò che una volta non gli piaceva. Il film che li racconta, e che parla ancora del referendum, è Il padre di famiglia di Nanni Loy, del 1967: un viaggio dentro vent'anni di storia italiana: dal Giugno '46 al '67. Marco e Paola si conoscono tra cartelli che inneggiano al Re ed altri che sostengono la Repubblica. Vivono il loro amore cercando di rispettare gli ideali di gioventù, scontrandosi via via con un Paese sempre più lontano da quello immaginato da ragazzi. Il padre di famiglia lancia un messaggio non troppo diverso da quello di Una vita difficile: il fallimento di una generazione che dopo la guerra aveva speranze e si è trovata a dover tirare un bilancio negativo.
Marco e Paola hanno cercato la bellezza e hanno incontrato ingiustizia, solitudine e frustrazione, così come Nicola, uno dei protagonisti di un altro film italiano che attraversa il 2 giugno del ‘46: C'eravamo tanto amati di Ettore Scola, del 1974. Stavolta trent'anni di storia italiana, dalla resistenza alla metà degli anni ’70. Nicola (Stefano Satta Flores) è un idealista severo, colto e testardo. Mentre le camionette della polizia inseguono gente che corre per strada, la sua voce rievoca l’esperienza del 2 Giugno: «Gianni, Antonio ed io partecipammo alle incandescenti giornate del Referendum: Monarchia o Repubblica?» Gianni (Vittorio Gassman), intelligente avvocato, e Antonio (Nino Manfredi), portantino generoso, sono gli altri due protagonisti del film. Tutti e tre furono partigiani e votarono Repubblica. Il film ribadisce il naufragio di una grande speranza collettiva: ancora ideali traditi e sogni infranti. I protagonisti debbono ammettere, quando si incontrano dopo molti anni, che le loro vite si sono allontanate dagli antichi sogni resistenziali, ma non tutte allo stesso modo. Antonio, il meno individualista dei tre, il più attento agli altri, è ancora un lottatore. Cerca con umiltà e coraggio di difendere i suoi diritti e quelli del prossimo. Gianni si è innamorato del potere e si è rovinato; Nicola non è mai uscito dalla stupenda teoria dell'intellettuale. Antonio, invece, ha imparato a convivere coi limiti del sistema e continua a costruire bellezza. È l'unico che ha messo su famiglia e sa donarsi veramente a chi ha di fronte. Nonostante i fallimenti politici sa ancora sorridere e probabilmente è felice. Ecco, il suo esempio, anche nei giorni politicamente non facili che stiamo vivendo, può sempre tornare utile.