Raccontare Calais e Lampedusa
Emmanuel Carrère e Maylis de Kerangal sono scrittori, francesi. Affermati. Tendenzialmente di sinistra, laici. Danno alle stampe, quasi contemporaneamente, due brevissimi instant-book nei quali cercano di affrontare l’enorme senso di colpa che attraversa certo laicismo europeo per lo scoppio della bomba migratoria dell’estate scorsa (rispettivamente A Calais, Adelphi, euro 7,00) e Lampedusa, Feltrinelli, euro 9,00). Lo fanno il primo sotto il segno del reportage (vero o falso, è comunque un’opera letteraria la sua), la seconda sotto il segno del puro dramma interiore in interno (reportage dell’anima, verrebbe da dire).
Libri che si leggono in poche decine di minuti, gradevolissimi e qua e là geniali. Probabilmente suscitati da sentimenti sinceri. Nessuno può veramente rimanere impassibile davanti alla morte. Forse più di tante conferenze dotte, i due libretti raccontano il dramma di un Paese, ma più in generale della stessa Europa, inebetita di fronte alla sorpresa di un’ondata migratoria che, dopo vari tentennamenti, ora si sta cercando di bloccare politicamente o militarmente o diplomaticamente.
Ma c’è un diaframma che diventa muro, ed è forse il muro più pernicioso perché invisibile, perché subdolamente infiltratosi nelle menti di noi europei: quello della convinzione della superiorità della nostra cultura-civiltà europea rispetto a quella di ogni altra landa del pianeta. Noi ci crediamo superiori, è questo il fatto, per ragioni storiche, culturali ed economiche. L’aiuto che diamo è sempre dettato dalla nostra inveterata propensione a manifestare la nostra superiorità, magari solo morale.
Solo la vera compassione, cioè il patire-con, ponendosi allo stesso livello con chi soffre, può abbattere questo muro.