Differenziata = 155 mila occupati in più
L’Italia in venti anni ha fatto grandi passi nel settore degli scarti urbani. Certo, si può dare di più – come recita una famosa canzone di Morandi, Tozzi, Ruggeri –, ma non possiamo non far notare che nella green economy ci stiamo muovendo bene.
Il recupero degli scarti urbani vale tre punti di Pil ed equivale a circa 155 mila posti di lavoro e un consenso che viaggia sopra quota 90 per cento. Questa è la storia degli ultimi venti anni da quando cioè nel 1997 è uscito il decreto Ronchi sui rifiuti. In quegli anni l’80 per cento degli scarti urbani finiva in discarica (21,3 milioni di tonnellate, l’equivalente del carico di 71 superpetroliere), e chi si arricchiva erano sempre le ecomafie che avevano il monopolio.
Oggi la discarica è scesa al 26% (7,8 milioni di tonnellate), la raccolta differenziata complessiva è salita al 47,6% e più di 9 persone su 10 prima di buttare un oggetto guardano di cosa è fatto per scegliere il bidone giusto.
Secondo una ricerca Ipsos, il 91% degli italiani afferma di fare abitualmente la raccolta differenziata e tra le materie più gettonate troviamo carta, vetro, plastica. Da notare però che c’è una buona fetta (26%) di insoddisfatti che dice che non sa come differenziare alcuni materiali.
In generale però possiamo ritenerci soddisfatti per i traguardi raggiunti finora: l’Italia tra l’altro detiene il 12% dei brevetti green legati al settore dei rifiuti sviluppati in Europa, seconda solo alla Germania. In alcuni settori abbiamo superato gli obiettivi fissati da Bruxelles come ad esempio gli imballaggi, con la creazione del Conai e dei consorzi di filiera: qui la quota di materiali avviati al riciclo è salita dal 33% del 1997 al 78,5%.
In tutto il fatturato che si aggira intorno gli scarti urbani vale circa 50 miliardi di euro con 6mila imprese e 155 mila occupati, ma se si vuol considerare anche le imprese che gestiscono rifiuti come attività secondaria, al bilancio vanno aggiunte altre 3.150 realtà produttive e 183 mila addetti. Il totale sale quindi a oltre 9 mila aziende e 328 mila occupati.
Come dicevamo, l’Italia può fare molto di più. Infatti c’è una buona fetta di rifiuti non urbani che hanno un enorme potenziale economico ancora inespresso. Per i rifiuti urbani alcune Regioni – o alcune città capoluogo – ancora faticano ad arrivare a livelli accettabili di raccolta differenziata. Spesso è la volontà politica che manca.
«La riforma del sistema di raccolta dei rifiuti urbani ha consentito di far decollare l’industria verde del riciclo – afferma Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile -. Per raggiungere i nuovi obiettivi indicati dall’Unione europea bisogna ora superare i ritardi che caratterizzano città come Napoli o Roma e regioni come la Basilicata, al 31% di raccolta differenziata, la Puglia al 30%, il Molise e la Calabria al 25%, la Sicilia al 13%. Molto importante sarà anche aggiornare i decreti sul recupero dei rifiuti speciali per avere una più estesa ed efficiente diffusione del riciclo con il regime di end of waste».