Rabbia, valori e politica

Riflessioni su un mondo diviso e conflittuale. Una proposta controcorrente

Alcuni anni fa un famoso scienziato, nel suo intervento ad un convegno internazionale, si rammaricava che la scienza non avesse ancora compreso a sufficienza (e quindi razionalizzato) la parte emotiva del comportamento umano, in modo da rendere inutile la religione. Allo stesso modo parte delle teorie economiche (e politiche) continuano ad essere basate sul modello di homo oeconomicus, il quale farebbe solo scelte razionali, basate sul proprio interesse.

Si capisce quindi la meraviglia di tanti intellettuali per gli imprevisti sobbalzi sulla scena internazionale (come Brexit e Trump), segnali di un spaccatura ormai netta tra il mondo (razionale?) composto di libero mercato, democrazia e diritti civili, e quello (irrazionale?) impastato di “invidia, umiliazione e senso di impotenza” degli sconfitti dalla globalizzazione.

La nostra è l’epoca di insopportabili disuguaglianze e di «grave arretramento di benessere del ceto medio, il quale ha sperimentato una significativa precarizzazione» (Becchetti – Povertà – Città Nuova). Ma quando gli esseri umani sono arrabbiati, hanno paura, non si sentono valorizzati, allora pretendono «l’uguaglianza nella libertà e, se non possono averla, l’accettano anche nella schiavitù» (Tocqueville).

Da qui l’affidarsi al primo uomo forte di passaggio, chiunque sia. Da qui il fiorire dei populismi, che usano pochi concetti chiave, semplici e comprensibili, mirati non alla parte razionale, ma a quella emotiva dell’elettorato. Anche le notizie false, che Trump e altri sono stati accusati di spargere a piene mani, sono false per la riflessione razionale, ma piacevoli da ascoltare e ricordare per la nostra parte emotiva che cerca conferme alle proprie convinzioni.

Non c’è però solo la rabbia alla base di queste sorprese elettorali. Ci sono anche, spesso non esplicitati, i valori fondamentali che orientano la vita e le scelte delle persone. Vedi il contrasto tra Europa dell’est e dell’ovest su accoglienza degli immigrati e difesa dell’identità cristiana del continente. Vedi il rifiuto di parte dell’elettorato Usa per le posizioni di Obama su aborto, gay, eutanasia e così via.

Il risultato di tutto questo sono le nuove parole d’ordine: «Prima gli americani» tuona Trump, «Prima i francesi» tuona la Le Pen, «Prima gli italiani» tuona Salvini. Come al solito la socialità umana oscilla tra solidarietà di gruppo (quelli che la pensano come me in politica, nello sport, in bioetica, nella religione), e conflitto tra gruppi (gli altri, i diversi da me).

Non si risolvono questi macro-problemi con un colpo di bacchetta magica. E allora cosa fare? Possiamo rassegnarci ad un mondo frantumato e conflittuale, società diseguali e divise tra posizioni inconciliabili, egoismi, populismi e uomini forti, chiudendoci nel nostro bozzolo.

Oppure non ci rassegniamo, rischiamo qualcosa, affrontiamo la complessità e le contraddizioni del mondo rilanciando uno slogan evangelico semplice e forte, chiaro e positivo, utilizzabile in economia, politica e cultura, facile da ricordare, comprensibile sia alla parte razionale che emotiva: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Che può essere declinato in infiniti modi, come suggeriva Chiara Lubich: ama la patria altrui come la tua, ama il partito altrui come il tuo, ama la squadra altrui come la tua, ama la comunità altrui come la tua… Anche: ama la religione altrui come la tua.

Forse non riusciremo a sconfiggere populismi e guerre, ma almeno porteremo serenità nel nostro caseggiato, nella nostra comunità, nella nostra famiglia… Proviamo a ragionare così, a «comportarci come se fossimo già uniti». Chissà.

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