R2P ovvero la responsabilità di proteggere

Una situazione nazionale ed internazionale che esige un passo deciso della comunità internazionale: proteggere la gente inerme uccisa dai militari del Tatmadaw in Myanmar
Myanmar (AP Photo, File)

Immagini di gente che marcia con i cartelli, a Yangon e nelle città importanti: R2P. Oppure We Need R2P (abbiamo bisogno di R2P) e R2P-Save Myanmar (R2P salva il Myanmar). R2P: responsibility to protect, la responsabilità di proteggere. È il motto delle Nazioni Unite per il Myanmar. La responsabilità della protezione appartiene alla comunità internazionale.

Sono appena sceso da un taxi a Bangkok dopo aver ascoltato attentamente l’autista, un uomo della mia età, avvezzo ai colpi di stato (nella storia thailandese ce ne sono stati ben 13), che ha vissuto e lavorato diverse volte con i militari; i suoi commenti, sono quelli della gente comune, dei colleghi di lavoro, sia in Italia come in Asia. Siamo tutti d’accordo che la comunità internazionale deve essere responsabile e proteggere la gente, fermare questa carneficina indiscriminata di cittadini inermi messa in atto dai “terroristi del Tatmadaw”, come sempre di più vengono definiti gli uomini del Generale Min Aung Hlaing, che il primo febbraio di quest’anno, come tutto il mondo ormai sa, hanno attuato un colpo di stato.

Nei giorni successivi e fino ad oggi hanno messo in piedi una repressione spietata, con più di 700 morti, molti dei quali colpiti alla testa, secondo le indicazioni di un indovino, che aveva vaticinato: «In questo modo la mentalità della gente cambierà».

Non è vero, i cittadini continuano in varie città a manifestare a mani nude contro i mitragliatori dei militari. In Occidente qualcuno storcerà la bocca chiedendosi se è possibile che dei militari nel 2021 debbano ancora cercare i consigli di cartomanti e indovini per attuare una repressione: in Myanmar certamente sì. Il generale Ne Win, dittatore birmano dal 1962 fino alle sue dimissioni nel 1988, non muoveva un passo senza aver prima consultato gli astri, o qualche monaco famoso che poteva assicurargli il beneplacito della sorte e degli dei. Ne Win fu un uomo spietato, che ridusse il paese in miseria, sempre con il sostegno di “monaci pazzi come cani randagi”, come li chiamava la gente, perché è proibito ai monaci buddhisti autentici predire il futuro.

Il generale Saw Maung, che guidò la repressione della rivoluzione 8888 (8 agosto 1988), oppure il generale Than Shwe, alla guida del paese dal 1992 al 2011 (ma che ancora oggi esercita, dietro le quinte, una grande influenza sul generale Min Aung Hlaing) hanno sempre avuto la stessa insana mania, al servizio di un’insaziabile brama di potere e di denaro.

I tiranni, poi, si assomigliano tutti, in qualsiasi parte del mondo nascano e muoiano. La comunità internazionale ha il dovere di fare i conti con questi oscuri personaggi che per cavarsela hanno solo bisogno di qualche potente che li appoggi: i generali del Myanmar fanno molto conto sulla Russia di Putin. Non è un’accusa sottobanco, è un fatto: il 27 marzo scorso era ufficialmente presente il vice ministro russo della difesa, Aleksandr Fomin, alla festa delle forze armate, a Naypyidaw, la capitale del Myanmar.

Una parata dove non mancavano Mig29 di fabbricazione russa, né elicotteri europei. Quel giorno, il generale Min Aung Hlaing ha parlato della Russia come di un vero amico ed ha decorato Fomin con una medaglia, che il generale russo ha accettato con militare sussiego. Nello stesso giorno sono state trucidate dall’esercito birmano donne, bambini, anziani in un’azione di repressione spietata che ha provocato più di 100 morti. In un solo giorno.

La gente del Myanmar è stata lasciata da sola a combattere, a mani nude, di fronte ai fucili dei militari. Molti giovani sono sfuggiti alla repressione violenta rifugiandosi al confine, dove ci sono le milizie dei Kachin, dei Karen e degli Arakan, che hanno formato in queste ultime settimane un’alleanza per combattere il Tatmadaw. Milizie etniche e profughi che sono stati attaccati dal Tatmadaw con gli elicotteri di cui sopra.

La comunità internazionale non deve solo assicurare protezione contro i diritti violati, ma anche accoglienza ai profughi, che ufficialmente sono poco più di 500, ma in realtà potrebbero essere almeno 12 mila. Si sono ammassati al confine con la Thailandia, nella speranza di essere accolti e protetti nelle nazioni confinanti. Chiedono solo cibo e un tetto, magari al riparo dagli elicotteri che danno loro la caccia.

Il 24 Aprile prossimo, l’Asean (Associazione delle 10 nazioni del sud est asiatico) ha invitato il generale Min Aung Hlaing a Jakarta, per un summit in cui capire la situazione del Myanmar: un invito molto controverso, rigettato dal governo di unità nazionale che si è intanto formato, il Nug. «Se l’Asean vuole aiutare a risolvere il problema del Myanmar, non si arriverà a nulla se non verrà consultato e non ci si accorderà con il Nug, che ha il supporto della gente e la piena legittimazione ad agire», ha affermato Moe Zaw Oo, il vice Ministro degli Esteri nominato dal Nug.

E dare voce al Nug sarebbe un passo non solo necessario, ma storico per l’Asean: vorrebbe dire riconoscere la voce della gente all’interno degli stati membri. Sono molti i cittadini dell’Asean che desiderano essere ascoltati. Ed hanno una richiesta da esprimere: si chiama democrazia.

Le Nazioni Unite hanno qualcosa di importante da dire, qualcosa che la comunità internazionale deve ascoltare e legittimare. Anche la voce della gente del Myanmar va ascoltata, e chiede democrazia, libertà e protezione dal tiranno, dalla violenza. Il regime di Min Aung Hlaing sa soltanto usare le armi, ma è analfabeta nell’uso della negoziazione pacifica. Tutti possiamo appoggiare la pace e coloro che la promuovono, a tutti i livelli. Per questo occorre scegliere la pace anche nei nostri modi di acquistare e di consumare. Abbiamo un grande dovere da esercitare, la responsabilità di proteggere: R2P-Save Myanmar.

 

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