R.E.M.: il rock che non muore
Michael Stipe e soci sono ormai tra le istituzioni più longeve del rock a stelle e strisce.
Michael Stipe e soci sono ormai tra le istituzioni più longeve del rock a stelle e strisce. Nella loro pluridecennale carriera hanno accumulato dollari e applausi, premi e innumerevoli sold-out. Una carriera quasi perfetta; così esemplare da renderli una delle poche istituzioni realmente imprescindibili per qualunque amante dell’ortodossia “rockettara”.
L’ennesima conferma è arrivata un paio di mesi fa, con questo nuovo lavoro, Collapse into now, dove il gruppo celebra sé stesso confezionando un prodotto che esalta e sintetizza uno stile che, come tutti quelli dei caposcuola, è riconoscibile fin dalle prime battute. Forse questa dozzina di nuovi brani non ha il carisma dei loro massimi capolavori, ma in compenso fotografa perfettamente il volto più solare e accessibile della band. Canzoni formalmente impeccabili, facili e immediate, il cui andamento pop non appare mai come una banalizzazione commerciale della loro espressività, ma piuttosto una ricerca di massima penetrazione comunicativa di quello spirito rock che comunque le attraversa. Non a caso l’album si chiude con l’ospitata di un’icona assoluta come Patti Smith nell’enfatica e vagamente psichedelica Blue, certo uno dei momenti più significativi del lavoro.
Questo è il ventiduesimo album del trio e arriva a tre anni dal precedente Accelerate, prodotto come questo da Jacknife Lee. Sussurri e grida che catturano le vibrazioni (buone e cattive) e i chiaroscuri del nostro tempo: un “collasso nel presente” che, al contempo, suggella trent’anni di storia della band georgiana, cui va indubbiamente sottoscritto il merito di aver saputo coniugare il potenziale e l’appeal commerciale delle loro canzoni con un approccio ancora artigianale e dunque sempre genuino e ruspante: una caratteristica piuttosto rara nel baluginante Paese dei balocchi delle rockstar.