Questa pazza calda estate
Ci risiamo. Anche quest’anno la colonnina di mercurio ha più facilità a salire che a scendere. Un giorno di “fresco” ogni sei di afa. Sembra essere questo il ritmo delle temperature già prima che il 21 giugno segnasse il fatidico arrivo dell’estate. Ma ormai, lo sappiamo, queste date non le rispetta più nessuna delle quattro stagioni. Trentacinque, trentotto, quaranta gradi. Quando si arriva a trenta è già un” refrigerio. Ogni tanto temporali, acquazzoni, grandine: un diluvio. E come sempre torniamo a dire che questi fenomeni sono eccezionali, superiori alla media, senza precedenti. Che se fosse proprio vero, con un aumento costante di due-tre gradi ogni dodici mesi, saremmo già dovuti arrivare a livelli ben più alti. Ma forse influisce il fatto che di anno in anno ci si dimentica dell’estate precedente (per fortuna) e ci sembra che mai abbiamo dovuto fare i conti con la calura dei giorni presenti. Mai a memoria d’uomo, perché i dati registrati parlano di temperature simili a quelle attuali verificatesi in Italia due secoli fa. Col clima torrido tornano pure i consigli: non uscire nelle ore più calde, non rimanere in città, bere molto, mangiare frutta e verdura in abbondanza, indossare abiti freschi” Niente di nuovo sotto il sole, è proprio il caso di dirlo. I disagi ci sono e non sempre è possibile superarli. Di sicuro è il periodo degli affari per chi vende condizionatori. Ne sa qualcosa il sig. De Longhi e compagnia. Che siamo sempre più “condizionati” è oramai un dato di fatto e anche chi non vorrebbe esserlo alla fine è costretto a cedere. Sembrerebbe che un italiano su dieci abbia l’impianto d’aria a casa con una crescita annua del 15 per cento. E a questo punto non tornano i conti per il grosso consumo di energia elettrica: quelli nelle nostre tasche e quelli dell’Enel col rischio black out in molte città, come è già successo. Convivere col clima “artificiale” non è per tutti facile, comunque. Negli uffici ad esempio, dove ci si trova a condividere lo stesso ambiente con più persone. Nei condomini dove il rumore di questi apparecchi può risultare pesante. In treno o in aereo all’interno dei quali è raro trovare una temperatura che vada bene per tutti. Una virtù quantomeno potremmo sforzarci di sviluppare: la sopportazione. Del caldo, del sudore, del vicino di scrivania che abbassa i gradi del climatizzatore, della moglie che di notte vuole la finestra spalancata, dell’inquilino di sopra che si gode la sua aria e a me manda gli echi di quel rumore continuo e insopportabile, della metro che non arriva, del pullman che non passa” Perché in ogni caso sono momenti della nostra giornata da mettere in preventivo. E poi calma! Se infatti siamo già stressati durante il resto dell’anno, figurarsi come si sta sotto i quaranta gradi. L’irritabilità personale è in serio pericolo. E allora un po’ di self-control non guasta. Basta il nostro buon senso, magari quello delle ore più fresche, a suggerirci metodi e strategie per sopravvivere più o meno indenni ai tre mesi più critici dell’anno. Tutto sommato, almeno per certe defaillances, abbiamo l’alibi dei quaranta gradi ed è più facile perdonarci dimenticanze e ritardi. E se il dibattito scientifico sulle cause dei cambiamenti climatici è sempre aperto a nuove discussioni, la preoccupazione sugli effetti che a lungo andare potrebbero derivarne induce gli esperti a cercare e trovare soluzioni durature o quantomeno rimedi di una certa efficacia. L’Unione europea, ad esempio, ha di recente lanciato il progetto She (Sustainable Housing in Europe): ottocento abitazioni ecosostenibili in Italia, Portogallo, Francia e Danimarca. Case cioè costruite con criteri che consentano un risparmio energetico che può arrivare anche al 38 per cento dei consumi abituali. Una collaborazione internazionale che ha permesso una notevole riduzione dei costi di produzione di questo tipo di alloggi, normalmente elevati quando non siano fabbricati in serie. Se infatti potrebbe non essere il caso di dar retta a certi allarmismi esagerati sui cambiamenti climatici, non va bene neanche sottovalutarne i rischi reali che ci sono. E soprattutto è necessario essere informati sulle nostre responsabilità ormai unanimemente riconosciute da parte della comunità scientifica internazionale. Ne parliamo nell’intervista di seguito. Dipende anche da noi Intervista a Sergio Rondinara, ingegnere nucleare, esperto di questioni ambientali. Intorno alla questione dei cambiamenti climatici le spiegazioni degli esperti sono risultate a volte contraddittorie. Alcuni hanno puntato decisamente il dito sui comportamenti dell’uomo, altri meno.Come stanno le cose? “Se intraprendiamo la ricerca delle cause che hanno prodotto tutta quella serie di problemi che vanno sotto il nome di questione ambientale emerge con evidenza il ruolo decisivo dell’attività umana. L’agire dell’uomo si presenta qui come causa dei problemi ambientali e allo stesso tempo come luogo e mezzo necessario per la loro soluzione. “Infatti solo un agire umano globale diverso da quello attuale, improntato ad un alto senso di responsabilità verso la natura, verso le popolazioni umane di oggi e di domani, potrà dare luogo ad un nuovo stile di vita capace di un futuro sostenibile”. Si tratta quindi di una attenzione etica alle nostre azioni, di una valorizzazione della nostra responsabilità personale? Cosa vuol dire ciò? “Sì questi problemi investono la morale personale di ciascuno di noi e ci provocano nel più profondo della nostra intenzionalità. “Di fatto si tratta di determinare nella pratica di ogni giorno, e quindi nel contesto in cui viviamo, ciò che è moralmente giusto nel campo della salvaguardia dell’ambiente. Praticamente tale riflessione ci conduce inizialmente alla formulazione di alcuni principi generali che dovrebbero essere accettati da ogni persona ragionevole libera da condizionamenti ideologici. “Finora la riflessione etica ha espresso tre princìpi generali a riguardo: principio di precauzione (PP), secondo il quale in tutto ciò che facciamo riguardo la realtà naturale, e il futuro delle generazioni future, è necessario usare le dovute precauzioni affinché non siano procurati danni, soprattutto danni a lungo termine o irreversibili; principio di cooperazione per il quale ogni comunità, in collaborazione con altre, deve assumersi le sue responsabilità dinanzi alla questione ambientale facendo tutto ciò che è nelle sue possibilità; principio di causa per cui chiunque agendo sull’ambiente provoca danni deve necessariamente sostenere le spese per ridurre o eliminare i danni provocati”. Qual è il rapporto tra questi principi e i cambiamenti climatici? “Risulta evidente che se parliamo di cambiamenti climatici come di “cambiamenti duraturi o addirittura irreversibili” ciò vuol dire che il principio di precauzione non è stato applicato in fase preventiva come esso richiedeva. Non abbiamo preso alcuna precauzione affinché questi cambiamenti previsti dagli scienziati non accadessero. “Avremmo infatti dovuto applicarlo innanzitutto quando s’immettevano nell’atmosfera quantità di gas superiore alle capacità di carico del nostro habitat naturale e quindi tali da superare le sue capacità autoregolatrici; successivamente quando dinanzi ai giudizi contrapposti della comunità scientifica internazionale circa l’apporto delle attività dell’uomo sui cambiamenti climatici, ci siamo trovati indecisi nell’indirizzare il nostro agire responsabile”. Ma nella situazione attuale il Principio di Precauzione ci suggerisce ancora qualcosa? “Oggi il PP ci ricorda che con le immissioni di gas inquinanti nell’atmosfera dobbiamo tornare sotto i livelli della massima capacità di carico per poi tornare a puntare sulla capacità autoregolatrice della natura. Inoltre, dopo il terzo rapporto (2001) dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC – Conferenza intergovernativa sui cambiamenti climatici), pur avendo raggiunto in ambito scientifico una unanimità sul ruolo delle attività dell’uomo sui cambiamenti climatici, il PP deve spingere la politica ambientale globale globale a superare lo stato di stasi che essa attraversa per avviarsi decisamente verso una riduzione pianificata delle immissioni gassose nell’atmosfera. “Oltre a questi vi è anche un altro aspetto molto importante. Il PP può salvaguardarci dalla perversa logica “inquinare per poi bonificare”. Nei paesi industrializzati la crescente necessità di poter usufruire di ambienti naturali e incontaminati sta portando rapidamente tali società ad investire nel recupero ambientale che può dunque rappresentare uno dei maggiori investimenti dell’industria del recupero nel prossimo futuro. Con l’apertura di questi nuovi mercati l’ambiente si sta dunque proponendo prepotentemente come un business del futuro. “In tale contesto il Principio di Precauzione si presenta come l’istanza etica capace di spezzare questa logica perversa di degradare per poi bonificare”.