Questa è l’ora

La decisione di Benedetto XVI apre una riflessione sul valore della coscienza: valore per laici e credenti, luogo dove avviene il più intimo colloquio con Dio, un percorso determinante nelle decisioni dove è previsto il confronto con il Vangelo e persone sagge, ma la decisione spetta sempre all'uomo
Il Papa Benedetto XVI in preghiera

Nelle lezioni, per far comprendere qual è il valore della coscienza, usavo un esempio. Dicevo: «anche il papa, se in coscienza capisse – per vari motivi – che non deve continuare a fare il papa, ha il dovere di dimettersi. Perché vivere secondo la coscienza non significa fare quello che si vuole o seguire le proprie idee, ma spalancare l’anima al confronto tremendo e grandioso con il Dio vivente, entrare in quello che Paolo VI chiamava “lo spazio in cui avviene il colloquio dell’anima con Dio”».

Mai avrei però pensato di vivere il giorno in cui questo esempio fosse diventato realtà. Benedetto XVI, con il suo annuncio, ha testimoniato che l’incontro con Dio nella propria coscienza è il più determinante nella vita di ogni persona. Siamo così abituati a confondere la coscienza con il relativismo delle nostre opinioni e delle nostre debolezze, che non riusciamo a coglierne il valore immenso. Spesso releghiamo la coscienza a un valore per i laici e non per i fedeli. Nella coscienza invece avviene il più scorticante incontro con Dio, l’ultimo e il più determinante, che spesso segue lunghi confronti con la parola di Dio, con la tradizione della Chiesa e con persone sagge e ispirate, per essere certi che l’incontro interiore che avviene sia veramente con Dio, e non con i propri capricci.

Ma dopo tutto ciò, dall’incontro con la coscienza non ci si può esimere: se un uomo infatti perde sé stesso, e Dio in sé, che cosa gli rimane? Non conosco, e non penso neppure sia importante conoscere, quale sia stato il percorso che ha portato Benedetto XVI a questa decisione che lui stesso definisce “grave” e che ci immette in un’ora solenne. Di fronte al pastore che si ritira il suo gregge sterminato – di ogni parte del mondo – lo fissa con occhi umidi e commossi, tremanti. Vuole dimostrargli il suo affetto, la sua vicinanza, la sua riconoscenza. E comprende che questa non è l’ora delle chiacchiere, delle illazioni, del come mai è successo, del cosa c’è dietro, delle previsioni sul prossimo conclave. Benedetto XVI non ha fatto alcun calcolo umano: con un gesto sorprendente ha annunciato al mondo quello che gli dettava Dio nell’intimo colloquio.

Pertanto, questa è l’ora che impone il silenzio. Per racchiuderci anche noi nel recinto della nostra coscienza, e ascoltare con serenità la sottile voce di Dio. Questa è l’ora della preghiera, per unirci attorno agli addetti ai lavori, ai cardinali, e chiedere con insistenza allo Spirito santo di aiutarli nel  gravoso compito di eleggere il nuovo pontefice. Questa è l’ora della forza della debolezza: in cui la cristianità deve buttare tutta la propria fiducia in Dio. Poi si aprirà un nuovo cammino: avremo una cristianità con un nuovo papa, ma anche con il papa precedente che starà in silenzio a pregare e meditare. Una formula inedita. Ma questo accadrà fra poco. Adesso viviamoci quest’ora solenne, non disperdiamola.

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