Questa è Internet, signori!

La valanga Julian Assange e i 400 mila documenti top secret sulla guerra in Iraq. La comunicazione nell’era della Rete.
Internet

Dunque siamo in una casa di vetro. Il 22 ottobre 2010, come promesso in anticipo, il sito wikileaks.org ha pubblicato 400 mila documenti riservati sulla guerra in Iraq, «la più grande quantità di materiale militare classificato mai pubblicata nella storia». Accuse circostanziate, abusi di ogni genere, violenze, rapimenti, documenti che a leggerli si rimane impressionati. In una parola “la sporca guerra” buttata in faccia a tutti. Una valanga annunciata, e mentre il sito è sommerso di contatti, scoppia il finimondo. Interrogazioni parlamentari, governi che s’interrogano, risposte imbarazzate dei militari. Chissà perché ci meravigliamo tanto che la guerra sia così, ci voleva davvero Internet per scoperchiare il pozzo degli orrori?

 

Intanto il responsabile del sito teme per la propria incolumità, gira travestito, usa solo cellulari criptati che i servizi segreti non possono intercettare, cambia continuamente percorsi e pernottamenti. Julian Assange, fondatore nel 2007 di Wikileaks, è un ex hacker, uno di quelli capaci di infiltrarsi nei siti Internet per rivelarne i segreti. Rende pubblici i documenti riservati per combattere la progressiva militarizzazione degli Stati, vuole che tutto quello che è “dentro” le organizzazioni, venga conosciuto. Vorrebbe dar vita ad un movimento vero e proprio, che lo segua nella sua missione di trasparenza, perché se tutte le informazioni venissero alla luce, la gente sarebbe messa in condizione di decidere autonomamente e in libertà. Una specie di codice etico globale, insomma. Possibile solo grazie alla rete. È questo il giornalismo del futuro? Forse.

 

Ci sono anche dubbi e domande senza risposta: per esempio, chi garantisce la veridicità di questi documenti, uno per uno? Wikileaks non rivela mai le fonti delle informazioni che rende disponibili sul suo sito, per cui come posso sapere se un documento è stato reso pubblico, proprio ora, per amore della verità o per interessi particolari, magari per colpire altre persone o altre organizzazioni? Pensiamo se questa alluvione informativa su persone, organismi e stati continuasse e dilagasse in modo sempre più incontrollato… Internet non dimentica mai, ma è difficile distinguere il vero dal falso quando non si può verificare la fonte.

 

Altra domanda: chi spiega perché e come sono stati selezionati proprio questi documenti, cioè se ne sono stati pubblicati solo alcuni e altri no? E chi controlla l’uso fatto dai media di questo materiale, visto che, su 400 mila documenti, ogni giornale o agenzia di stampa ne metterà in evidenza solo 10 o 20, magari proprio quelli che rafforzano la propria linea ideologica? Insomma un guazzabuglio: la trasparenza assoluta è compatibile con l’anonimato? O è tutta spazzatura? Troppe domande. Assange si difende sostenendo che la trasparenza aiuta a smascherare le ipocrisie e la corruzione di politici e governi, così come le loro manovre antidemocratiche. Queste prospettive in effetti fanno venire l’acquolina in bocca: a quando un wikileaks anche in Italia per smascherare le legioni di corrotti e raccomandati che ammorbano il nostro Paese?

 

A difesa di Assange e dei suoi metodi poco ortodossi, possiamo anche osservare che l’amministrazione Obama non sembra aver finora smentito il “contenuto” dei documenti pubblicati, ma solo condannato le “modalità” di pubblicazione. E in effetti, senza responsabilità della fonte, non potrebbe qualche manina interessata aver manipolato un certo documento, aggiungendo una frase o un dato falso e tendenzioso, che però nessuno potrà mai contestare? Replica Assange che sarà la “saggezza collettiva” della comunità della Rete a verificare l’attendibilità dei documenti. La cosa non sembra troppo convincente, soprattutto se, come è probabile, si allargherà presto il numero di imitatori di wikileaks: populismo da quattro soldi e curiosità morbosa sono sempre in agguato.

 

Insomma, dubbi ce ne sono tanti, anche se Julian Assange ha sicuramente segnato un punto di non ritorno nella modalità di fare informazione nel terzo millennio. La Rete c’è, reclama trasparenza e fornisce metodi nuovi per assicurarla. Prendere o lasciare: è inutile fare troppo gli sdegnosi e restare da parte, qualcun’altro approfitterà di questa possibilità. Contemporaneamente, però, bisogna pure dirlo: di buoni giornalisti, svegli, onesti, capaci di fare una indagine approfondita ma anche di vedere il positivo delle cose, non ce ne saranno mai abbastanza. Così come di editori che hanno “contenuti” seri da pubblicare, e che su quei contenuti costruiscono la fiducia e la fidelizzazione dei propri lettori.

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