Quello stadio pieno
Il 1980 fu un anno particolarmente difficile dal punto di vista sociale. I primi mesi furono caratterizzati dagli attentati terroristici che portarono all’uccisione, tra gli altri, di Piersanti Mattarella, Vittorio Bachelet, Pino Amato e Walter Tobagi. Ma fu anche l’anno delle grandi stragi: da Ustica a Bologna, e del terremoto in Irpinia. A livello internazionale, gli Stati Uniti ruppero i rapporti diplomatici con l’Iran, diventato nel 1979 una Repubblica islamica, e boicottarono i Giochi olimpici di Mosca: siamo in piena guerra fredda. In Jugoslavia muore il dittatore Tito, mentre a settembre scoppia la guerra tra Iran e Iraq per il controllo di alcuni pozzi petroliferi. L’8 dicembre, un fanatico uccide John Lennon, ex leader dei Beatles, impegnato contro la guerra in Vietnam.
Il Genfest
«Quel mese di maggio 1980 fu realmente spaventoso: si contarono solo due o tre giorni di sole. Al punto che era stato stabilito un Piano B: se lo stadio Flaminio non fosse stato disponibile, il Genfest si sarebbe triplicato nell’allora Aula Nervi, che più tardi diventerà Aula Paolo VI. Ma tra i giovani che stavano preparando l’evento l’idea non piaceva proprio: come avrebbero fatto entrare nell’aula il gigante preparato dal gruppo belga? E come avrebbero potuto sciamare tra la folla i danzatori brasiliani? Soprattutto non piaceva l’idea di dividersi in due o tre tronconi (con che logica? con che tempistica? con quali risorse umane?): se il Movimento Gen era quello dell’unità si sarebbe dovuti rimanere uniti. L’ultima e definitiva decisione fu presa sotto la pioggia ai piedi del palco già installato sul prato dello stadio, all’antivigilia del Genfest, cioè il 16 maggio: per alzata di mano tutti i presenti optarono, salvo poche eccezioni, per il Flaminio.
Sempre che i vigili del fuoco dessero l’agibilità per la struttura che, chiusa da alcuni mesi per lavori di restauro, non era ancora stata “approvata”. Suspense: alla vigilia il tanto atteso documento arrivò, grazie all’incredibile dedizione di un uomo, Piero Pasolini, che era stato incaricato da Chiara Lubich di seguire la logistica della manifestazione. Si impegnò così tanto – più volte lo vedemmo ingoiare quasi di nascosto delle pasticche di trinitrina che dovevano calmare il suo cuore malato – che il suo fisico ne fu danneggiato, e qualche mese dopo, nel gennaio 1981, ci lasciò, nella sua amatissima Africa.
C’ero anch’io tra quei giovani. Ero stato prescelto, assieme a Rosanna Cantelmi, giovane collega a Città Nuova, per presentare la manifestazione, che alla fine riunì la bellezza di 40 mila giovani, provenienti soprattutto dall’intera Europa, con rappresentanze più o meno clandestine anche da alcuni Paesi del blocco comunista. Chiara Lubich vi partecipò, infondendo nei giovani presenti l’idea che valeva veramente la pena di dare la vita per un grande ideale, quello del mondo più unito. Ci furono anche testimonianze degne di nota, ma in una assemblea di quelle dimensioni quel che rimase soprattutto impresso nei giovani presenti fu l’impressione di essere in tanti a credere in un mondo migliore. Gli ondeggiamenti della folla che accompagnavano le musiche di alto livello preparate per l’occasione avevano sì il pretesto della temperatura rigida che chiedeva di muoversi, ma erano soprattutto un’espressione di un sentire comune ormai ben radicato, dopo 13 anni di vita del Movimento Gen.
L’indomani mattina ci si riunì attorno al papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, ancora più numerosi della vigilia, perché ai giovani del Movimento si era unita l’intera comunità dei Focolari di Roma e di altre città italiane, tanto che la piazza risultò quasi piena. Ricordo che portai assieme a Roberto Catalano, oggi collaboratore apprezzatissimo della nostra rivista, delle offerte al papa, il quale strinse le nostre due teste a sé con tale energia da farle cozzare! Ma soprattutto ci rivolse parole di apprezzamento («quanti siete, e dal mondo intero!»), di incoraggiamento («forza, avanti!») e di commozione (una sua lacrima bagnò la mia fronte).
Mi rimane altresì nella memoria un momento di grande intensità spirituale vissuto assieme a Rosanna, con Carlos Clarià (recentemente scomparso) e Silvana Veronesi (una delle prime focolarine), che erano incaricati all’epoca del Movimento Gen. C’erano infatti visioni diverse tra gli organizzatori sul programma del Genfest: più musica e spettacolo o più discorsi e testimonianze? Più spazio ai continenti o cadere nel consueto eurocentrismo? Quali temi privilegiare e quali invece non prendere in conto? Ricordo che Silvana Veronesi ci richiamò ad una forte radicalità evangelica, mentre l’argentino Carlos Clarià cercò di aiutarci a trovare una dimensione veramente mondiale al programma. Ci chiesero il nostro parere, che sposarono quasi nella totalità, a testimonianza che quella era la festa dei giovani, non solo e non tanto di un’istituzione già affermata. Un segno di grande vitalità.
Al termine della manifestazione al Flaminio, indugiavo nei dintorni, salutando amici e sconosciuti, quasi incapace di tornare coi piedi per terra. Quel Genfest aveva detto non solo e non tanto che il Movimento Gen era forte, aveva una sua potenza, ma che il carisma che lo animava, quello di Chiara Lubich, era adatto anche alle nuove generazioni».