Quell’indecoroso cucchiaio di legno

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“Al Sei Nazioni abbiamo imparato a nostre spese quanto sia alto il livello degli avversari: non ti puoi concedere il minimo errore. Ogni volta che sbagli vieni punito”. Ad ammetterlo è il tallonatore Alessandro Moscardi, capitano degli azzurri. Che non demorde: “Quando ti confronti ad alto livello non puoi far altro che migliorare. Quest’esperienza ci aiuta a far crescere tanti giocatori”. Solo due anni fa gli azzurri (undicesimi nella graduatoria mondiale e, appunto, sesti nel continente) sono stati ammessi nel salotto buono del rugby europeo, debuttando con una entusiasmante vittoria sulla Scozia, campione uscente. Da allora è iniziata una serie negativa di ben undici sconfitte, che hanno affibbiato all’Italia quel cucchiaio di legno, scomodo riconoscimento che va a chi perde tutte le partite del torneo. Vincerne almeno una è sempre stato l’obiettivo minimo posto dal tecnico neozelandese che per il terzo anno siede sulla panchina italiana, Brad Johnstone, ex atleta degli All Blacks, incontrastati dominatori del rugby mondiale. Ma l’impresa è tutt’altro che facile. E può nascere il sospetto che la goliardica aristocrazia del rugby ci abbia invitato per rifilare a qualcuno l’odiata maglia nera del torneo. Un’umiliazione che non lascia certo amareggiato il nostro movimento della palla ovale, visto che, proprio nel momento della spaventosa crisi economica del Coni, il nostro rugby si è trovato a spartire la ricchissima torta dei diritti televisivi del Sei Nazioni, un torneo in cui, anche perdendo sempre, non si retrocede. Qualche vittoria ci consentirebbe di dimostrare che non siamo intrusi, accettati solo per garantire più diritti tivù (con sei paesi la torta cresce) o perché Roma è una formidabile… meta, anche turistica. La federazione inglese ha l’esclusiva di tutti i biglietti, organizza pacchetti turistici “tutto compreso” (i 10 mila scozzesi visti al Flaminio lo confermano), vince sul campo e sulle tribune, segna punti e vende birra (per 600 mila euro in tre sole partite “amichevoli” disputate in autunno), è stata la prima a mettere lo sponsor sulla maglia e non si è fatta scrupoli ad ammettere gli stranieri in nazionale. Oggi ogni rappresentativa può schierare uno straniero purché abbia tre anni di residenza e non abbia mai indossato la casacca del suo paese originario. Cresciuto lo spettacolo, sono arrivati i soldi e il rugby non è più sport da dilettanti e comincia adinteressare i nostri ragazzi. “La partecipazione italiana al Sei Nazioni – conferma Moscardi – ha dato un’iniezione di notorietà al rugby: è cresciuto l’entusiasmo e l’interesse nei confronti del nostro sport, che non è certo seguito come il calcio”. Oggi in Italia ci sono 313 club, con 43 mila appassionati praticanti. Avete mai guardato negli occhi un bambino di sei anni che vi dice “Io gioco a rugby”? In quelle parole vi è la convinzione che la palla ovale lo rende già uomo. Afferma lo scrittore britannico David Storey : “È il solo sport per uomini che sia rimasto “. C’è solo da far digerire ai genitori che il rugby non sia uno sportpericoloso. “È uno sport di contatto – riconosce Moscardi – ed è inevitabile che l’aspetto dell’aggressività debba essere presente: questo rende indispensabile la lealtà, perché solo dentro le regole è concepibile uno sport in cui si gioca duro”. Ma le stranezze sono di casa nel rugby, lo sport in cui per arrivare in meta bisogna andare avanti, ma solo passando la palla indietro. Si avanza infatti in due modi: con il contrasto fisico diretto o con le strategie dei passaggi, che ne fanno lo sport collettivo per eccellenza, qualcosa che alimenta la fiducia reciproca e crea un formidabile spirito di gruppo con tonalità goliardiche irripetibili. “Il rugby è prima di tutto divertimento – precisa con soddisfazione Moscardi -, e poi, senza tanti eufemismi, credo sia uno sport che si avvicina molto alla realtà della vita, per questo è estremamente educativo”. Ha stigmatizzato la scrittrice francese Françoise Sagan: “Non amo il rugby perché è violento, ma perché è intelligente”. E ogni match conferma che vince sempre il migliore, mai il più fortunato. Nasi schiacciati, orecchie deformate, punti di sutura: ecco la maschera di uomini che spingono come bufali e ragionano come intellettuali. Uno strano cocktail che poteva maturare solo Oltremanica, dove, ogni week-end, rispettabili professionisti in giacca e cravatta, si sfidano nel fango contendendosi una palla ovale.

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