Quelli del mercoledì

Altra tappa del viaggio nell'Italia generosa. In provincia di Perugia, a Ponte Felcino, si realizza un modello di accoglienza diffusa

Janko ha 19 anni e vuole fare il giornalista. Nel suo Paese, il Gambia, era rappresentante degli studenti. Ha invocato la libertà d’espressione. La sera stessa sono venuti a cercarlo a casa; arrestato, è rimasto in carcere per tre settimane. Una volta fuori, ha deciso di scappare: dal 2014 è in fuga e qualche mese fa è arrivato in Italia. Dallo sbarco a Crotone si trova adesso in un quartiere di Perugia che nel nome porta già un simbolo di dialogo: “Ponte” Felcino. È lì che prende vita l’associazione Il Ponte d’Incontro 3.0, con l’obiettivo di favorire un reale inserimento dei migranti nel tessuto sociale. All’Umbria va riconosciuto un modello riuscito di accoglienza diffusa. Ospita attualmente nelle sue strutture 2951 richiedenti asilo provenienti in gran parte da Nigeria, Gambia, Senegal e Mali: l’ostello di Ponte Felcino è la struttura di accoglienza più importante, che può ospitare fino a 80 migranti.

Adesso ne conta oltre 160. Buona accoglienza da una parte, ma dall’altra diffidenze e strumentalizzazioni.

C’è chi chiede il ritorno dell’ostello all’attività di turismo sociale per cui era stato costruito. E c’è chi non si arrende: Pasquale Caracciolo, 71 anni, giornalista, sindacalista, già segretario della Flaei-Cisl Energia, iniziatore del servizio di pastorale del lavoro nella diocesi di Perugia, è tra i principali tessitori di una rete di dialogo che coinvolge persone delle estrazioni più diverse. «Erano state raccolte circa 400 firme per chiedere la chiusura del centro – racconta –. Ma Ponte Felcino ha una tradizione di accoglienza».

Nel giro di alcuni mesi Pasquale e altri amici hanno così dato vita a un’associazione che cercasse l’incontro, la condivisione, l’approfondimento dei problemi reali. La sua caratteristica era ed è la compresenza di persone di orientamenti culturali, politici, religiosi diversi. Era ed è quindi un incontro già al suo interno. Una sessantina di persone regolarmente iscritte e altri che ne condividevano le finalità. È stata presentata ufficialmente all’inizio di dicembre, con una risposta e una presenza inattese. «Nel direttivo partecipano gli stessi stranieri – spiega Caracciolo – in un discorso di vera corresponsabilità. Siamo adesso, insieme alle istituzioni, a un tavolo permanente di tutte le associazioni presenti a Perugia. Vorremmo realizzare una giornata dedicata alla Ponte Felcino dei Popoli, e promuovere, insieme all’imam e agli esponenti del mondo cattolico, momenti di dialogo interreligioso e interculturale. Ci rivolgeremo anche ai giovani, incontrandoli nei luoghi dove vivono».

Istituzioni e società civile, dunque. Accelerazione delle procedure per il riconoscimento dei richiedenti asilo da una parte, momenti di conoscenza e vita concreta dall’altra. Racconta Tiziana: «Con l’appello del papa ci siamo guardati attorno, sapendo che anche l’Umbria ospitava dei migranti. Erano a pochi chilometri da casa nostra. Con una telefonata a chi gestisce il centro abbiamo chiesto come poter essere d’aiuto, offrendoci di andare il mercoledì per un paio d’ore. Mancavano coperte, vestiti, scarpe; poi qualche nozione di lingua italiana, quindi anche penne, fogli… Col passaparola si è innescata una catena: un giorno una famiglia è arrivata con 12 sacchi di vestiti in buone condizioni; un’altra volta, vedendo che per l’umidità non si riusciva ad asciugare i panni, nel giro di poco è arrivata pure un’asciugatrice».

Anche Laura è tra le persone che si avvicendano il mercoledì: «Non posso fare a meno di pensare a loro, al loro viaggio, alla nostalgia per la famiglia, al loro ritrovarsi in un Paese con una cultura completamente diversa, una lingua sconosciuta. Ho cominciato a soffrire con loro. Un giorno li ho invitati a visitare Assisi. Erano entusiasti di conoscere posti così belli e la storia di san Francesco. L’incontro con questi fratelli profughi mi ha cambiato».

Infine Erica e Fabrizio. Due figli piccoli di 3 e 5 anni. «Il nostro “esodo” è cominciato quando abbiamo iniziato a raccogliere indumenti per i ragazzi del centro, e i nostri figli hanno voluto andare a conoscerli. Ho dovuto fare i conti con paure e pregiudizi che neanche sapevo di avere – racconta Erica –. Ma il bambino si è portato le costruzioni e il pallone: il linguaggio del gioco gli ha permesso di entrare subito in dialogo e stringere amicizia nonostante il limite della lingua.

Questa esperienza ci sta dando la consapevolezza che, prima di essere portatori di un dono grande, ne siamo stati, per primi, destinatari».

 

L’Associazione “Il Ponte d’Incontro 3.0”, costituitasi lo scorso luglio, si ispira a valori di solidarietà e accoglienza e promuove la propria azione per creare “ponti” tra esperienze, culture e popoli diversi tra loro e per abbattere i muri che ostacolano la comunicazione e la reciproca conoscenza. www.pontedincontro.it

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