#quellavoltache… ho subito un abuso
I Social Network, quei luoghi in cui spesso l’anonimato viene accusato di essere lo scudo dietro a cui nascondersi per aggredire qualcuno, per una volta sono diventati il luogo dove trovare la forza per raccontare angoli bui, episodi della propria vita che si sarebbero voluti cancellare, trovando invece la forza di una corale denuncia.
#quellavolta che è un progetto narrativo nato dall’idea di Giulia Blasi, giornalista, così, quasi per caso, dopo le accuse e le offese subite dall’attrice Asia Argento per aver raccontato delle violenze subite dal produttore Harvey Weinstein, accusato poi anche da altre attrici di Hollywood. «Quando è scoppiato il caso, ho pubblicato su Facebook una lettera aperta per schierarmi con Asia e poi, insieme a un piccolo gruppo di persone, abbiamo deciso di lanciare l’hashtag e seminarlo ovunque. Ed è letteralmente esploso – racconta Blasi – Moltissime delle storie che stanno arrivando sono strazianti. Ma la cosa più pazzesca è l’incredibile quantità di uomini che “cadono dal pero” e dicono “non mi ero reso conto”».
Nei Social Network gli hashtag, quelle parole chiave precedute dal “#” che servono per raccogliere discussioni attorno ad un particolare argomento, possono contribuire in maniera determinante a rendere virale e visibile un fatto, un’opinione. E così è stato in questo caso, perché da qualche giorno Twitter, Facebook e altri luogi “social” sono inondati da migliaia di testimonianze di violenze e abusi, piccoli o grandi, subiti da molte donne italiane e mai raccontate per paura o per vergogna. Ma farlo dietro ad una tastiera, e farlo in così tante, serve per trovare il coraggio.
Alcuni siti, poi ospitano i racconti di chi ha preferito non utilizzare il proprio profilo social.
#quellavoltache all’esame di Storia Moderna il prof mi disse: “Signorina! È luglio, fa caldo: perché non ha messo una gonna? Corta”.
#quellavoltache dobbiamo saper dosare bene anche la gentilezza per non essere fraintese.
#quellavoltache le compagne di classe mi consigliarono di slacciare la camicetta per beccare un 9 in agronomia, indossai dolcevita presi 4.
Da #quellavoltache succede poi smetti di dormire e non ti fidi più di nessuno.
#quellavoltache a un concerto, schiacciati contro la transenna lo sconosciuto dietro di me ha deciso di infilarmi una mano nei pantaloni.
#quellavoltache un mio No non fu ascoltato e rispettato.
In mezzo a questo fiume in piena di racconti c’è anche, molto rara, qualche voce maschile:
#quellavoltache Se è così doloroso per me, un uomo, leggere questi tweet, non riesco nemmeno ad immaginare cosa significhi per una donna.
#quellavoltache in riunione il mio capo insultò le mie colleghe in modo schifosamente sessista io non intervenni. ancora me ne pento.
#quellavoltache non dovrà più ripetersi. Come uomo mi vergogno. Donne siete più forti delle vostre madri e di noi. Denunciate ora!
Sì, anche se ascoltando metà dell’orrore praticato, mi vergogno un po’ di avere mille altre cose in comune con quei maschi. #quellavoltache.
Leggere #quellavoltache conferma opinione che noi uomini non abbiamo proprio idea e poi consideriamo quanto non viene denunciato.
#quellavoltache Chiedo scusa a tutte le ragazze/donne da Uomo, e vi prometto che ad un mio figlio maschio insegnerò il rispetto per le donne.
L’iniziativa della giornalista italiana, che ha fatto nascere iniziative simili in Francia e negli Stati Uniti, è servita permettere a tante donne di raccontare storie che descrivono una realtà “nascosta” preoccupante.
Spesso ci capita di parlare in maniera negativa dei Social Media, abituati a vederli come luoghi utilizzati per denigrare, minacciare, insultare. Con #quellavoltache, nella sua funzione di aggregatore di storie che altrimenti non sarebbero mai state raccontate, Twitter è riuscito invece a diventare finalmente luogo dove, pur nella sofferenza intrisa nelle storie raccontate, può nascere una forza collettiva di solidarietà e di denuncia altrimenti non possibile.