Quell’aborto non voluto
Inizia da piccole per gioco, «da grande farò la mamma» e poi da adulte si cerca di farlo diventare realtà. Qualcosa però va storto e quel progetto tanto desiderato di maternità si infrange davanti a un evento drammatico come l'aborto non voluto. Una, due, tre volte fino a far piombare la donna in una condizione di disperazione, frustrazione, nell'annullamento di sé fino a considerarsi incapace e difettosa.
La famiglia che tanto si desiderava: un partner e dei figli, resta solo un sogno, qualcosa di precluso. Non mancano poi le domande: “Perché? Perché è successo proprio a me? Cosa c'è che non va? Cos'ho io che non va?” quesiti che si fanno sempre più pressanti in testa e che rischiano di sfociare in disturbi seri, a volte gravi. L'aborto spontaneo ricorrente è uno degli eventi più temuti innanzitutto da una donna al momento della gravidanza, tanto che nei primi tre mesi si cerca di difendere questa condizione non rivelandola. Una minaccia incombente che se avviene rischia di essere anche l'elemento distruttivo della coppia, fino ad arrivare alla separazione. Come affrontare un evento tanto drammatico, a chi affidarsi per avere di nuovo una serenità mentale che permetta di vivere al meglio la propria capacità procreativa e affrontare una nuova gravidanza?
Un ruolo importante viene svolto sicuramente dalla psicoterapia. La dottoressa Francesca Malatacca, psicoterapeuta presso l'ambulatorio di abortività spontanea ricorrente, Polo per la salute della donna e del bambino Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli a Roma, spiega che questa terapia «riesce a dare importanti risultati tanto quanto le immuno terapie in termini di gravidanze successive portate a termine con successo». Ciò che fa la differenza in queste situazioni è di sicuro il lavoro interdisciplinare e di équipe che si deve costituire attorno a una donna in gravidanza: ginecologo, ematologo, genetista, immunologo e specialisti nel caso in cui la donna abbia delle patologie già in cura.
Il primo passo dunque, in caso di un aborto spontaneo, è rivolgersi individualmente e come coppia a uno psicoterapeuta. «Le donne che sono arrivate a me – racconta la dottoressa Malatacca – sono state indirizzate dai loro ginecologi. Quello che ho dovuto affrontare non è stata tanto la depressione che si ipotizza in questi casi, quanto un sacrario della sofferenza: il pianto e la disperata mancanza di un progetto di vita. Occorre dire innanzitutto che l'aborto è un lutto, quello di un figlio non nato e come tale deve essere affrontato. Quando ho iniziato, nel 1990, a occuparmi di queste donne non c'era letteratura al riguardo così ho cercato un mio metodo di intervento che ho chiamato “ “io voglio nascere”, ovvero il riconoscimento e l'elaborazione del bimbo abortito. Oltre riconoscere il dolore di questa perdita, cerco di restituire all'aborto la dignità di un figlio e alla donna la sua maternità».
Un lavoro importante riconosciuto anche dai ginecologi che nel loro quotidiano devono affrontare anche queste situazioni.
Spesso però il dolore, il senso di perdita della propria identità sia femminile sia maschile di genitore e la frustrazione hanno un effetto boumerang sulla coppia: “l'aborto spesso comporta l'assenza della libido e viene vissuto come il riconoscimento di un fallimento importante. Per la donna soprattutto diventa una frustrazione della maternità e assieme della propria femminilità”.
Tutti gli specialisti che seguono donne con abortività spontanea frequente sono concordi nel ritenere che occorre puntare su fattori positivi, ad esempio far notare a queste coppie che aver avuto un concepimento è già una base di partenza importante. Certo, in quanto evento luttuoso deve essere affrontato e metabolizzato e ognuno ha i propri tempi per farlo. «I ginecologi non dovrebbero prospettare subito un'altra gravidanza, perché a queste donne e alle coppie deve essere dato del tempo di elaborare il dolore. La psicoterapia mirata in questo senso aiuta molto a ridare serenità e speranza».