Quella vita negata alle vittime di Orlando
Gli Stati Uniti in lutto per la morte delle 49 persone che domenica si trovavano al Pulse Night Club. Veglie di preghiera si svolgono nelle chiese e nei parchi dove si celebra il Ramadan. Infuria la polemica sulla vendita delle armi e sulle manifestazioni di intolleranza. Dalla nostra corrispondente
«I nostri cuori sono spezzati per le vittime di Orlando», recita il manifesto nella chiesa cattolica di Saint Paul a New York. Sulla bandiera dai colori arcobaleno, che lo affianca, i fedeli hanno composto una croce con 49 candele accese. È il numero dei giovani latino-americani dai 19 ai circa 40 anni, che sono stati assassinati al Pulse night club di Orlando, un noto locale gay.
Scorrendo il grande cartello viola si legge: «Come comunità parrocchiale e come LGBT cattolici siamo solidali con coloro che sono morti, con i feriti e i sopravvissuti. Piangiamo con le famiglie e ci lamentiamo con gli amici, non dimenticando che tutti siamo stati creati ad immagine di Dio e degni del Suo amore». Nell’ultima riga c’è l’ora della veglia di preghiera. E questo non sta accadendo solo a New York, ma in tante città degli Stati Uniti, un Paese nuovamente a lutto, nuovamente ferito dagli assassini di massa che in questi anni continuano a seminare angoscia e vittime innocenti.
Omar Mateen, l’autore della strage più grave della storia americana, è un cittadino statunitense di origini afghane. Voleva imprimere il timbro di morte dell’Isis al suo gesto folle dichiarando al centralino della polizia la sua affiliazione, ma le indagini di queste ore hanno provato chiaramente l’instabilità mentale dell’omicida, fagocitato dalle ideologie fondamentalistiche diffuse non tanto da cellule presenti sul territorio americano, ma da filmati sul web. Il presidente Obama ha voluto precisare in una conferenza stampa che «questo è certamente un esempio del tipo di estremismo nato a casa nostra e che ci preoccupa, ma prima che un atto terroristico è un atto di odio».
Gli analisti politici infatti hanno cominciato a distinguere tra attentati programmati dall’Isis e ispirati dall’Isis e quello di Orlando rientra in questa seconda categoria, come quello della maratona di Boston. In queste ore il rischio di criminalizzazione della comunità musulmana e dei migranti è alto. La strage piomba in una campagna per le presidenziali già infuocata su questi temi e il candidato repubblicano Trump ha dichiarato apertamente l’intenzione di chiudere le frontiere ai musulmani che provengono da Paesi che favoriscono il terrorismo, accusando il presidente di essere troppo tenero e addirittura connivente.
La comunità musulmana ha risposto alle provocazioni con i fatti, prendendo le distanze da chi continua a voler associare la loro fede al fondamentalismo. Ad Orlando in molti si sono recati negli ospedali per donare il sangue ai feriti e, nei parchi di varie città, la preghiera di fine giornata del Ramadan è stata dedicata alle vittime e alle loro famiglie.
Mentre la polizia sta cercando di chiarire le dinamiche dell’intervento delle teste di cuoio per stabilire se vi siano vittime provocate dal loro assalto repentino, infuriano le polemiche sui controlli per l’acquisto delle armi. Mateen era stato fermato più volte per le sue manifeste simpatie verso lo Stato Islamico, eppure questo non gli ha impedito di recarsi da un rivenditore e comprare un fucile. Non esser riuscito a convincere il congresso a votare la legge sul controllo della vendita di armi è una delle sconfitte più brucianti per Obama, che ha ribadito la necessità di fare una scelta coraggiosa in questa direzione: il secondo emendamento voluto dai padri fondatori faceva riferimento alle armi da caccia e non a quelle d’assalto che causano ogni giorno negli Usa la morte di circa 12 persone, mentre un rapporto dell’Fbi parla di 11.961 morti dal 2014, un dato mai registrato in nessun paese occidentale.
Questo però è il giorno del dolore e della riflessione sul valore della libertà e sulla dignità di ogni vita umana. La carneficina del Pulse non è letta come un attacco alla comunità gay, nonostante le manifeste antipatie dell’omicida. Così come le stragi in Europa non erano un attacco alla satira, quella di Orlando è anch’essa frutto di un fondamentalismo incapace di riconoscere la varietà di scelte, posizioni, stili di vita, fedi, nazionalità. Il vescovo di Saint Petersburg, scrivendo sul suo blog una lettera al vescovo di Orlando, ha dichiarato: «Ancor prima di sapere della dinamica della strage sapevo che si sarebbe cercata nella religione una causa. Bisogna fermare il giudizio e l’agire che discriminano basandosi sulla religione. E purtroppo anche la nostra fede, magari verbalmente, ha generato disprezzo per gay, lesbiche e persone transessuali e dal seme del disprezzo può nascere l’odio e infine la violenza. Queste donne e questi uomini falciati sono stati tutti fatti a immagine e somiglianza di Dio. Noi lo insegniamo. Noi dovremmo crederlo. Tutti loro in questo momento stanno incontrando Dio».
Anche l’Italia non può dichiararsi immune da queste manifestazioni di intolleranza. Un’amica della comunità Lgbt, commentando i fatti di Orlando, mi manifestava la sua preoccupazione per le tante scritte omofobe comparse negli ultimi mesi sui muri della sua città nella totale indifferenza di chi l’amministra. «Ci sono stati troppi radicalismi dall’una e dall’altra parte. Serve parlarsi ed educare alla tolleranza, al dialogo, alla comprensione e non sarà un lavoro semplice. L’odio è un seme piccolo che si alimenta di ignoranza e di paura, ma può essere stroncato da una sana educazione affettiva per cui chi è diverso ha pari diritto alla vita. Anche l’incremento dei femminicidi nel nostro Paese è un segnale in questa direzione da non sottovalutare». Questioni aperte da una parte all’altra dell’oceano. Oggi però siamo tutti ad Orlando, a fianco di queste famiglie che hanno perso un figlio, un fratello, un’amica o nelle stanze degli ospedali dove tanti feriti stanno ancora lottando: l’odio non può avere l’ultima parola.