Quella sporca camorra

Si continua ad uccidere, nel capoluogo campano. Anche nel vialetto di una scuola materna. Il ministro Cancellieri annuncia rinforzi per le forze dell'ordine, ma davvero servirà l'esercito per fermare la guerra di camorra?
vele di scampia

Mi raccontava un'amica maestra, che da qualche anno insegna in una scuola materna di Scampìa, che alla notizia dell'incarico annuale (il primo!) ottenuto nella sua città – ma proprio in "quel" quartiere – dopo un decennio di supplenze fuori regione e di precariato, si era quasi sentita male. Insieme al marito aveva fatto un sopralluogo davanti al plesso, immediatamente affiancata e scortata – per tutta la durata della visita – dalle "vedette" della camorra che perlustrano la zona in motorino. Era così iniziato un anno di tensione, caratterizzato da mal di pancia e altri malori psicosomatici, terminato, tuttavia, in un'atmosfera gioiosa e serena.

L'anno successivo era andata al lavoro senza troppe preoccupazioni: ormai, le avevano detto le mamme del quartiere, era una di loro. Meritava, anzi tutto il rispetto possibile, perché accudiva i loro figli. Perché i bambini, anche nei quartieri più a rischio, sono sempre "pezzi di cuore".

Ecco perché, l'omicidio commesso qualche giorno fa a Scampìa, nel vialetto d'ingresso di una scuola materna, ha sconvolto tutti. Un altro luogo "sacro" è stato violato da camorristi senza onore e senza cuore, pronti a trucidare un uomo e a farlo a due passi da intere classi di bimbetti intenti ad imparare le canzoncine di Natale. «'E criature (i bambini) non si toccano», ha detto arrabbiata un'anziana residente ad un cronista della Rai. E il morto? Quella è un'altra storia, in un quartiere dove in tanti sono abituati a "farsi i fatti propri", soprattutto quando – come ora – c'è una nuova guerra di camorra in atto.

Ma ci si può davvero abituare a vedere persone ammazzate? Francamente, no! Nessuno ha il diritto di togliere la vita ad un altro. E se pensiamo che chi ha commesso, o commissionato, il delitto ha meno di trent'anni, la tragedia diventa ancora più grande, perché significa che una nuova generazione di camorristi si è formata ed è pronta a tutto e che c'è tanto lavoro ancora da fare, tutti, affinché chi vive tra le vele di Scampìa e il carcere di Secondigliano possa conoscere anche quanto di bello la vita può offrire.

Certo, se il lavoro non c'è, se papà è in prigione, se per giocare ti devi accontentare di stradoni controllati dalle vedette della camorra, lo Stato e le istituzioni locali – oltre ad interrogarsi ed indignarsi – devono darsi davvero da fare. E spiace dirlo, la sola presenza dell'esercito – tanto decantata dopo la visita del ministro Cancellieri – non basterà. C'è già stato, anni fa, e uccisero ugualmente. Serve una svolta culturale, serve lavoro, servono opportunità, fiducia, legalità. Perché a Napoli la gente è stanca e, sì, molto indignata. La protesta degli studenti partenopei davanti al teatro San Carlo, per la prima della Traviata, è passata sottotraccia nei mass media nazionali. Bollata come la "solita" manifestazione studentesca sedata a manganellate. Ad ascoltare con attenzione quei ragazzi, invece, ci sarebbe stato molto materiale su cui riflettere. «Un uomo è stato ucciso nel vialetto di un asilo e il ministro dell'Istruzione Profumo viene a Napoli per andare a teatro?», ripetevano increduli. 

Dopo l'omicidio nel vialetto della scuola, rimasta naturalmente deserta nei giorni successivi, un altro uomo è stato ucciso, in un comune vicino, in una pizzeria ed è purtroppo facile prevedere che ne seguiranno ancora altri. Fa di nuovo tanta paura, Scampìa, e se un anziano commenta in televisione «dobbiamo chiuderci nelle nostre case e non uscire», c'è chi nonostante la
paura non si ferma.


Come i giovani che, un mesetto fa, sono accorsi in questo quartiere periferico di Napoli da tutta la Campania per trascorrere una giornata giocando con i bambini. Una giornata magica per tanti piccoli partecipanti, che non resterà un evento isolato. Adesso più che mai. «Stiamo studiando le modalità giuste per esserci, per creare dei rapporti vivi con i residenti. Certo – afferma Francesco Ricciardi, uno dei promotori di questa iniziativa – abbiamo paura, è inutile negarlo o fingere, ma siamo tutti candidati all'unità e per noi è giusto portare semi di fraternità anche nei luoghi più difficili: è una sfida affascinante e non ci fermeremo».

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Guarire con i libri

Abbiamo a cuore la democrazia

Voci dal Genfest

Quell’articolo che ci ha cambiato la vita

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons