Quella ragazza che tutti sfuggivano

Ero molto stanca quella sera, dopo aver ascoltato decine di persone, extracomunitari e no, che si rivolgevano alla sede della Caritas diocesana dove da anni presto servizio di volontariato. Noto quella ragazza minuta, ancora giovane, che trascina camminando la gamba destra. Sul volto e sulle labbra presenta sfoghi vistosi. Giunto il suo turno, con tracotanza e disperazione sbotta: “Mi hanno detto che tu riesci a trovare lavoro… ho fame, non ho soldi”. Mi fermo ad ascoltarla, cacciando via la tentazione di rimandarla, dicendole che è impossibile trovarle lavoro in quelle condizioni. Cerco di immergermi nella realtà complessa che mi si presenta, consapevole che inevitabilmente sarebbe diventata mia. Mi racconta in breve la sua storia. Ha 32 anni (anche se ne dimostra molti di più) ed è tossicodipendente, affetta da Aids. È separata dal marito ed ha una figlia di 11 anni, che vive con il papà in un’altra città. L’ascolto, facendo spazio dentro di me al suo dolore. Penso alle umiliazioni che deve aver subìto, tra cui quella di essere stata cacciata via da casa dai genitori per timore del contagio… Ma non è per compassione che sento di volerle già bene. Ma perché, malgrado tutto, lei ha ancora voglia di vivere, di lottare. Cerco intanto di provvedere per quanto mi è possibile. Finito il colloquio, le lascio il mio numero di telefono: in caso di necessità, o se vuole parlare con qualcuno, sa dove trovarmi. Da allora ci siamo incontrate spesso. Le ho procurato cibo, qualche soldo. Ma ciò di cui sentiva maggior bisogno era sentirsi accettata come persona. Una sera mi telefona dicendomi di aspettare un bambino. Vado subito a trovarla, e mi dice che, malgrado le tante perplessità ad avere un figlio, ha deciso di proseguire la gravidanza. “Nella vita non ho fatto nulla di buono – spiega -, ma ora mi si è presentata la possibilità di cambiare vita “. Ci ritroviamo l’una nella braccia dell’altra: mai il suo volto deturpato mi era parso così bello. “Sei sicura che Dio esiste?”, mi chiede. Le rispondo che anche Gesù si è sentito abbandonato, e che ci ama immensamente, con profonda misericordia. “Fidati di lui – le dico – e vedrai”. Nelle settimane successive passo con lei tanto tempo. Deve fare molte analisi, visite specialistiche. Vive in un garage senza servizi; con l’aiuto di un’assistente sociale Cecilia viene ricoverata al reparto di malattie infettive dell’ospedale. Mi telefona subito, chiedendomi un pigiama e l’occorrente per il ricovero. La fiducia è tale che un giorno mi chiede di fare da madrina al suo bambino, giacché vuole battezzarlo. Naturalmente, dico subito di sì, e con grande gioia, perché veramente voglio bene a Cecilia, che fino a poco tempo prima era per me una sconosciuta. Così quella ragazza che tutti sfuggivano è entrata nella mia vita.

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